L’Iran chiama i suoi satelliti alle armi, in aiuto di Hezbollah

I pesanti e continui raid israeliani in Libano hanno spinto Teheran a mobilitare le altre milizie sciite sparse in Medio Oriente. Dagli Houthi nello Yemen all'Iraq e alla Siria. L'allargamento del conflitto è ormai inevitabile?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 25 Settembre 2024 18:02

Come avevamo anticipato su QuiFinanza settimane fa, dopo la Striscia di Gaza la guerra di Israele si è allargata agli altri territori limitrofi. Ora è il turno del Libano degli Hezbollah, in attesa della grande offensiva anche in Cisgiordania.

Lo Stato ebraico è determinato a rompere il contenimento esercitato dalla Mezzaluna sciita (in dizione occidentale), cioè il gruppo di attori statali e sub-statali armati e sostenuti dall’Iran. Dopo Hamas, obliterata nella sua ala militare ma non certo scomparsa dalla Palestina, il conflitto diretto è ora con il “Partito di dio” libanese. I raid israeliani nel Paese confinante sono stati ingenti e hanno provocato altre centinaia di vittime, le ennesime di questa guerra che è difensiva soltanto nella propaganda, di fatto di aggressione. Ma hanno anche provocato la reazione, altrettanto retorica, dell’Iran, che ha chiamato alle armi i suoi agenti di prossimità.

L’appello dell’Iran alla galassia sciita nella guerra a Israele

Dallo Yemen degli Houthi all’Iraq, passando per la Siria, l’appello di Teheran è risuonato in tutto il Medio Oriente, tradizionale teatro dell’imperialismo regionale della potenza persiana. Un appello che invita i proxy sciiti a serrare i ranghi, imbracciare le armi e correre in aiuto anche di Hezbollah, che “non può farcela da solo”. Retorica, ma significativa. Perché gli islamisti libanesi possono ampiamente farcela da soli almeno a ingaggiare battaglia con lo Stato ebraico, visto che possiedono l’arsenale e l’esercito più potenti della galassia filo-iraniana. Certo, come la Repubblica islamica anche Hezbollah preferirebbe proseguire nello scontro a bassa intensità, mantenendo costante la pressione su Israele senza però provocarlo al punto da scatenarne la risposta nucleare.

È stato il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, considerato un riformatore moderato, a mobilitare ancora di più tutto l’Asse della Resistenza. Hezbollah “non può restare da solo” contro Israele, “che viene difeso, sostenuto e rifornito da Stati Uniti, Paesi europei e alleati occidentali”, ha detto Pezeshkian in un’intervista rilasciata alla Cnn a New York, dove si trovava per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, alimentando ulteriormente i timori di un allargamento del conflitto. Così come cresce la capacità offensiva della milizie della Mezzaluna sciita, di cui l’Iran rappresenta il fulcro dal punto di vista politico, economico, militare e soprattutto ideologico-religioso.

Le azioni dell’Asse della Resistenza

Il messaggio dell’Iran è rivolto in particolare al satellite meno “coinvolto” all’interno della “tripla H”, e cioè gli Houthi. I miliziani yemeniti, da mesi fonte di enormi difficoltà e pericoli alla navigazione e commerciale nel Mar Rosso, il 19 luglio in un attacco con un drone sono riusciti a raggiungere e colpire persino Tel Aviv. Scatenando l’immediata risposta di Israele, con un raid sul porto yemenita di Hodeida, che ha causato sei morti e 90 feriti.

L’agenda iraniana è condivisa anche dagli iracheni di Kata’ib Hezbollah, unità nata in seguito all’invasione statunitense del Paese, e di altre milizie sciite che concentrano le loro incursioni e azioni di disturbo con droni e razzi, soprattutto contro le forze statunitensi e gli alleati della coalizione in Iraq. Una strategia simile a quella delle compagini sciite in Siria, che a loro volta periodicamente lanciano droni e razzi contro località in terra israeliana, impegnando così il sistema di difesa Iron Dome, che finora è sempre riuscito a intercettarli. Ma Teheran ha milizie satelliti anche in Bahrein e perfino in Arabia Saudita, che potrebbero essere mobilitate.

Di recente, il comandante delle Guardie della Rivoluzione iraniane, Hossein Salami, ha celebrato il controllo persiano sull’Asse della Resistenza in tutta la regione, affermando che “l’architettura intelligente” della difesa ha consolidato il potere della Repubblica Islamica “in modo tale che le fondamenta del fronte della resistenza devono a questa la propria forza”. Non per niente, in un colloquio a New York con il suo collega iraniano Abbas Araghchi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha auspicato che “Teheran eserciti la propria influenza sui gruppi nella regione, per richiamarli alla moderazione in tutti i quadranti: Libano, Iraq, Siria e Mar Rosso”.

L’allargamento del conflitto è ormai inevitabile?

Nonostante possa rivelarsi un grave errore strategico, Teheran potrebbe anche decidere di intervenire direttamente contro Israele. Il vice presidente per gli Affari strategici, Mohammad Javad Zarif, ha ricordato che la teocrazia sciita “ha il diritto di reagire” dopo l’uccisione del capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuta a Teheran il 31 luglio e attribuita allo Stato ebraico. Al di là della tensione altissima delle ultime ore, l’impianto strategico dei due contendenti resta tuttavia invariato. Hezbollah possiede un vasto arsenale di razzi e missili in grado di colpire ovunque in territorio israeliano.

Il leader del “Partito di dio” Naim Qassem ha detto di non credere che lo Stato ebraico abbia la capacità o abbia preso la decisione di lanciare una guerra al momento. In ogni caso ha avvertito che anche se Tel Aviv intendesse lanciare un’operazione limitata in Libano, che si fermi al di sotto di una guerra su larga scala, non dovrebbe aspettarsi che i combattimenti restino limitati. Bene, quel momento sembra proprio arrivato. Lo Stato ebraico può decidere ciò che vuole: guerra limitata, guerra totale, guerra parziale“, ha sottolineato Qassem, “ma deve aspettarsi che la nostra risposta e la nostra resistenza non resteranno confinate all’interno di regole di ingaggio stabilite da loro”.

Se lo Stato ebraico fa la guerra, “significa che non ne può controllare l’estensione o chi vi entra”. Questo sembra un apparente riferimento alle altre milizie sciite cooperanti di Hezbollah. Questi gruppi e potenzialmente la stessa Teheran potrebbero entrare in gioco in caso di una guerra su larga scala in Libano, che potrebbe arrivare a chiamare in causa anche il più forte alleato di Israele, gli Stati Uniti. Scenario estremo e di scarsa probabilità, almeno al momento. L’escalation del conflitto non giova a nessuno e nessuno sembra volerla davvero, al di là dei proclami bellicosi e dell’ignorato aspetto morale. Ma negli scontri armati, lo abbiamo imparato, la componente irrazionale gioca un ruolo decisivo e imprevedibile.

Gli Stati Uniti, da parte loro, non ritengono che una “piccola guerra regionale” sia un’opzione realistica, perché sarà difficile impedire che si allarghi e si espanda. E intanto Washington fa sempre più fatica a tenere a bada l’intransigenza del governo Netanyahu. Tuttavia per la Casa Bianca sarà impossibile riportare la distensione al confine israelo-libanese senza prima aver concluso un cessate il fuoco a Gaza. Nonostante i proclami e gli attacchi, Israele non avrebbe reale intenzione di invadere la parte di Libano controllata da Hezbollah. E, dall’altro lato della barricata, anche i fondamentalisti sciiti hanno tutto l’interesse a non accelerare l’inasprimento della contesa militare col nemico confinante. In altre parole a Iran e Hezbollah conviene che il conflitto resti a bassa intensità e tenga impegnato Israele a lungo, mentre dall’altra parte c’è più urgenza di inasprire il conflitto, ma manche l’opportunità e la forza necessarie.