Finito lo spettacolo, dietro il sipario cadono le maschere. Quella di Joe Biden, però, resta su, cristallizzata nell’espressione della sconfitta. Il duello televisivo con lo sfidante Donald Trump è stato un disastro senza appello, che ha spinto colossi mediatici come il New York Times e lo stesso board dei Democratici a suggerire un passo indietro al presidente americano.
La verità è che solo Biden può decidere cosa farà Biden. Dalla scelta autonoma di correre per la Casa Bianca per un secondo mandato all’eventuale ritiro. Nessun altro ha il potere effettivo di imporre alcunché. Al netto di scetticismi e sondaggi.
Biden continua a correre: “Voglio vincere le elezioni”
Tra il dire e il fare c’è di mezzo l’oceano. Quello Atlantico che divide gli Usa da un’Europa in crisi di identità, da luogo in cui la storia era finita ad avanguardia della difesa armata dei valori occidentali contro lo spauracchio russo. E quello Pacifico che, declinando nell’Indiano, rappresenta il fronte più strategico e caldo per lo stanco egemone globale. Dopo il dire, andato malissimo, ora Joe Biden deve decidere il fare. I pessimi segnali corporei, talmente gravi da oscurare le numerose bugie del rivale Donald Trump, hanno spinto il suo partito a ragionare sull’opportunità di cercare un sostituto alla candidatura. In quella che sarebbe una corsa contro il tempo e una convention aperta senza precedenti nella storia americana. L’unico che può spianare o sbarrare la strada è però lui, l’81enne Joe. Neanche un’ora dopo il toto-nomi sui potenziali candidati alternativi, il presidente ha fugato ogni dubbio sulle sue intenzioni. “Intendo vincere queste elezioni”, ha dichiarato tenendo un comizio in North Carolina all’indomani del confronto tv con lo sfidante repubblicano.
“Non sono più giovane e non dibatto bene come un tempo, ma so come fare questo lavoro“, ha assicurato, rilanciando il duello con Trump nel secondo duello mediatico previsto per settembre. “Non c’è alcuna base perché lasci, non c’è alcuna indicazione di questo tipo dalla base”, ha spiegato lo staff dell’inquilino della Casa Bianca. Ma si tratta della stessa campagna che lo ha mandato allo sbaraglio in quelle condizioni, dopo averlo “allenato” per una settimana nel ritiro di Camp David. Giustificando peraltro la voce bassa con un raffreddore solo a metà dibattito, quando ormai la frittata era fatta. E che ora sta correndo ai ripari chiamando donatori ed elettori, insistendo sui momenti positivi di un confronto che comunque non sposterebbe una grossa percentuale di voti. Biden è persuaso di aver “convinto gli elettori”. E nessuno potrà estrometterlo dalla corsa, neanche in situazioni estreme. Il voto interno c’è stato e Biden ha stravinto le primarie.
Il piano dei Democratici e il ruolo della cerchia intima di Biden
Intanto i vertici del partito Democratico e gli eletti cercano di fare quadrato, almeno ufficialmente. Davanti alle telecamere difendono la vice Kamala Harris, i leader dem di Camera e Senato, l’ex speaker Nancy Pelosi. dietro le quinte però dirigenti e una bella fetta della base partitica pensano che l’imbarazzante performance del presidente ipotechi la vittoria di Donald Trump, già in vantaggio nei sondaggi a livello nazionale e in sei dei sette Stati chiave in bilico. Inevitabile il dibattito sulla possibilità di cambiare cavallo in corsa. Se Biden farà davvero un passo indietro, gli unici che potrebbero avere un qualche ascendente su di lui sono i membri della sua ristretta cerchia di fedelissimi. A partire dalla moglie Jill e proseguendo con la sorella minore Valerie Biden e Ted Kaufman, 85 anni, amico di lunga data e consigliere costante del presidente. E con un piccolo gruppo di consiglieri della Casa Bianca. Un gabinetto decennale che funziona come una famiglia allargata, una sorta di senato di anziani o un’oligarchia di governo. Questi alleati da soli hanno influenza sulle decisioni grandi e piccole nella vita privata e istituzionale di Biden.
A quel punto la prima svolta si registrerebbe ad agosto a Chicago, con lo scenario di una “brokered convention”, cioè in cui nessun candidato riesce a ottenere la maggioranza dei delegati per ottenere la nomination del partito alle presidenziali. Oppure potrebbe materializzarsi la circostanza in cui i delegati, impegnati ma non vincolati, potrebbero votare un altro candidato tra quelli che si farebbero avanti in queste poche settimane. I dati confermano che il nocciolo germanico del Paese, il Midwest e il cuore occidentale rurale del Paese, il più decisivo, preferisce ancora Trump. Come del resto sembra fare la maggior parte degli apparati statunitensi, i veri orientatori della parabola nazionale. Se quattro anni fa la ricetta trumpiana sembrava quella sbagliata, ora l’apertura alla Russia e un certo disimpegno nel mantenimento dell’impero globale non suonano più così male.
I possibili sostituti di Biden e la questione del 25esimo emendamento
Il primo nome in cima alla lista dei possibili sostituti di Joe Biden è quello della vice Kamala Harris. Il suo limite: la minore popolarità tra gli americani rispetto al presidente. Seguono dunque le quotazioni di vari governatori, da Gavin Newsom (California) a J. B. Pritzker (Illinois), Wes Moore (Maryland) e Gretchen Whitmer (Michigan). Fino alla suggestione di Michelle Obama, la fantacandidatura più social finora, che però ha respinto ogni tentazione. Proseguendo nell’alveo della fantapolitica, Biden potrebbe fare il kingmaker della situazione, incoronando lui stesso il suo erede.
Dall’altro lato della barricata, Trump resta convinto che il suo avversario resterà il “crooked Joe” visto in tv e già canta vittoria. Una vittoria certificata anche dal sondaggio flash della Cnn tra i telespettatori (per il 67% ha vinto il tycoon) e che ha spinto il suo social Truth in Borsa. L’ex presidente ha incassato anche alcune sentenze favorevoli da parte della Corte Suprema, dalla riduzione dei poteri delle agenzie federali alla limitazione dell’accusa di ostruzione nell’assalto a Capitol Hill per gli assalitori. Mentre lunedì è attesa la decisione sull’immunità presidenziale che il tycoon ha invocato nei processi pendenti. Anche il Great Old Party cavalca la debacle di Biden. Lo speaker repubblicano della Camera Mike Johnson ha affermato che il governo dovrebbe discutere l’ipotesi di invocare il 25esimo emendamento, che consente di rimuovere un presidente, con la maggioranza dei voti dei suoi ministri, per incapacità fisica o mentale. Un emendamento che finora era stato evocato solo per Trump.