Il 16 marzo 1978 è una data incisa a fuoco sulla pelle della Repubblica Italiana, che ha lasciato cicatrici anche ben più profonde. Quella mattina, intorno alle 9, un nucleo armato delle Brigate Rosse rapì Aldo Moro, allora presidente della Democrazia Cristiana, e uccisero i cinque uomini della sua scorta in via Fani, all’angolo con via Stresa.
L’esponente della DC era partito dalla sua casa in via del Forte Trionfale 79 per recarsi alla Camera per votare la fiducia al quarto governo Andreotti. Il corpo di Moro fu ritrovato 55 giorni dopo, il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, in un altro giorno buio della nostra storia. Nel mezzo di questo periodo terribile, circa un mese dopo il sequestro, Papa Paolo VI scrisse una celebre lettera ai rapitori, implorando di liberare il politico. Ma perché le BR arrivarono a sequestrare Aldo Moro?
Perché fu rapito Aldo Moro: le ipotesi
La motivazione “ufficiale” è finita sui libri di storia: la condanna totale del cosiddetto “compromesso storico”, cioè un’inedita finestra di dialogo politico, che la DC aveva stretto col PCI (Partito Comunista Italiano) dietro forte spinta di Aldo Moro. Una situazione intollerabile per le frange più estremiste della sinistra, che nei democristiani avevano sempre visto un “regime”, emblema dello “Stato imperialista delle multinazionali”. E in Moro un “gerarca” fautore di una “controrivoluzione imperialista”. Da qui si sono sviluppate varie ipotesi: i terroristi volevano rapire proprio lui o volevano “soltanto” dare un segnale?
È ormai fuori di dubbio che le BR volessero dare un segnale fortissimo anche al PCI, fermando quello che i brigatisti definivano “la lunga marcia comunista verso le istituzioni” ed eliminando una formazione “concorrente” nel campo della sinistra italiana. Uno dei brigatisti presenti in via Fani, Franco Bonisoli, affermò invece che l’organizzazione aveva studiato la possibilità di rapire Giulio Andreotti, ma che poi cambiò obiettivo perché l’ex presidente del Consiglio godeva di una protezione di polizia troppo massiccia. L’aborto dell’operazione fu confermato anche da Alberto Franceschini, arrestato nel 1974 e autore del rapimento Sossi. Il brigatista raccontò di essersi recato a Roma negli anni precedenti al sequestro Moro per verificare le concrete possibilità di sequestrare Andreotti.
Il cambio di bersaglio non è però l’unica congettura a posteriori sul caso Moro. C’è chi ha evidenziato il possibile coinvolgimento della loggia P2 e dei servizi segreti, ma anche chi ha parlato di tentativi palestinesi di proteggere l’autore del cosiddetto “lodo Moro”, e cioè un patto segreto di non belligeranza fra lo Stato italiano e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Tra le ipotesi alla base del sequestro e dell’uccisione del leader della DC vanno menzionati anche il possibile coinvolgimento del movimento di sinistra extraparlamentare Autonomia Operaia, quello dell’Unione Sovietica, degli Stati Uniti e di Israele, nonché le possibili infiltrazioni mafiose.
Chi era il Papa all’epoca del caso Moro
Nel periodo del rapimento, del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro sul soglio pontificio siedeva Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini, che sarebbe poi morto quello stesso anno (il 6 agosto 1978). Nei confronti del presidente della DC il Santo Padre nutriva “paterna benevolenza”, come gli scrisse lo stesso Moro dalla “prigione del popolo”.
La missiva del Pontefice era stata inviata sei giorni dopo il comunicato numero 6 delle Brigate Rosse, datato 15 aprile 1978, con cui i sequestratori avevano dissipato ogni speranza: il “processo politico” all’onorevole Moro si era concluso e il prigioniero era stato condannato a morte. Il 21 aprile le parole del Papa giunsero agli “uomini delle Brigate Rosse”: chiese che Moro venisse restituito “alla libertà, alla famiglia, alla vita civile”. “Vi prego in ginocchio – supplicò Paolo VI – liberate l’onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni”. Il disperato appello del Papa, com’è tragicamente noto, rimase inascoltato.