Pensioni, governo sotto attacco: chi rischia il ritorno alla Fornero

Nel Def approvato dal Consiglio dei ministri non vi sono riferimenti in materia previdenziale: cosa succederà ai lavoratori più anziani nei prossimi mesi

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Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

Nel pomeriggio di martedì 11 aprile il Consiglio dei ministri presieduto dalla premier Giorgia Meloni ha dato il via libera definitivo al Documento di economia e finanza (il cosiddetto Def), che disegna la cornica dei conti pubblici entro cui l’esecutivo intende approvare le riforme in programma per il 2023. Pubblicato nella mattinata del giorno seguente, il testo affronta molti dei temi più caldi che riguardano l’agenda macroeconomica illustrata dal centrodestra in campagna elettorale, ma l’assenza di alcune voci di stretta attualità ha permesso alle opposizioni di contestare fin da subito il provvedimento.

Sia l’ex presidente Giuseppe Conte, sia la nuova segretaria del PD Elly Schlein hanno parlato apertamente di “propaganda mediatica per abbindolare gli italiani”, sottolineando come le misure approvate nella riunione dei ministri siamo “scarse”, “scritte male” e sovvenzionate in toto alimentando ulteriormente l’enorme debito pubblico che l’Italia si porta sulle spalle ormai da troppo tempo. Ma il vero punto debole del primo Def targato Meloni pare essere un altro, ossia la clamorosa assenza di qualsiasi riferimento in materia di pensioni.

Def, governo sotto attacco: tutto quello che (non) c’è sulle pensioni

Proprio l’argomento che ha costituito una parte fondamentale della retorica di centrodestra (in particolare della Lega di Matteo Salvini) negli anni trascorsi all’opposizione, oggi non trova posto nel Documento di economia e finanza che stabilisce gli interventi chiave dei prossimi mesi. Se, da un lato, l’elettorato più fedele alla coalizione – ossia quello degli imprenditori e dei lavoratori autonomi – può rallegrarsi sul versante della pressione fiscale, con l’introduzione del cosiddetto concordato preventivo, la stessa cosa non si può dire per quanto riguarda la previdenza sociale.

Nel Def infatti non compare nulla della tanto annunciata riforma invocata a gran voce dal Carroccio anche durante l’ultima esperienza nel governo di Mario Draghi. Nessun riferimento ai lavoratori fragili, né tantomeno a quelli che operano nei settori più usuranti; niente sull’uscita agevolata di alcune categorie per consentire l’introduzione dei giovani, né sulla possibilità per alcune tipologie di professionisti (primi fra tutti i medici e gli infermieri) di poter rimanere in servizio nell’apparato pubblico anche oltre l’età pensionabile per sopperire alla mancanza di figure specializzate come medici e di professionisti esperti.

Come si andrà in pensione nel 2023 e con quale legge

La vituperata e crocifissa legge Fornero rimarrà dunque attiva, quantomeno per l’anno in vigore. La pensione di vecchiaia continuerà ad essere raggiunta a 67 anni di età per tutti coloro che avranno maturato 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne). Cosa che succede ormai dal 2012, ossia da quando l’allora esecutivo guidato dal professor Mario Monti – con la stessa Elsa Fornero nel ruolo di ministro del Lavoro e delle Politiche sociali – ha introdotto la stretta più importante dai tempi della Prima Repubblica.

Se si escludono le diverse deroghe introdotte negli ultimi anni (da Quota 100 approvata dal governo gialloverde, passando per Quota 102 nel 2022 e finendo con Quota 103 inserita nell’ultima legge di Bilancio), possiamo affermare senza timore di essere smentiti che nessuno ha avuto il coraggio e la forza di formulare una valida alternativa alla soluzione introdotta dal governo dei tecnici.

E così, mentre la ministra Elvira Calderone ha annunciato il rinvio del tavolo che si andrà ad occupare proprio di questi temi (con anche la presenza dei sindacati, subito insorti), dalle parti della Lega l’unica speranza è quella di riuscire a confermare Quota 103 – che unisce 62 anni d’età con 41 di contributi – anche per il prossimo anno. Ma occorre trovare 2,2 miliardi di euro.