Il Governo sta elaborando le norme che dovrebbero portare a un pensionamento più tardivo dei dipendenti della pubblica amministrazione. Ad oggi infatti un lavoratore statale deve obbligatoriamente andare in pensione a 65 anni se raggiunge i requisiti contributivi, oppure in alternativa a 67 anni, età minima a cui si riceve il trattamento previdenziale nel settore privato.
L’obiettivo dell’esecutivo è quello di ritardare le uscite senza però alzare l’età pensionabile. Per raggiungerlo da una parte verrà rimosso l’obbligo di pensione per i dipendenti pubblici. Dall’altro saranno aggiunti incentivi alla permanenza al lavoro, senza però che questa misura pesi sulle casse dello Stato e sul difficile equilibrio tra entrate e uscite raggiunto per la manovra finanziaria del 2025.
Più soldi in busta paga per i dipendenti pubblici che non vanno in pensione
Continua l’azione del Governo per ritardare il pensionamento dei dipendenti pubblici. Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti sta elaborando una nuova norma che dovrebbe mettere a disposizione dei lavoratori del pubblico impiego alcuni incentivi economici che li convincano a restare al lavoro anche una volta maturati i requisiti per andare in pensione.
Queste sovvenzioni dovrebbero arrivare sotto forma di veri e propri aumenti in busta paga, che dovrebbero però essere a costo relativamente basso per lo Stato. Invece di versare all’Inps i contributi dovuti da parte del datore di lavoro, quindi in questo caso lo Pubblica amministrazione, questo denaro sarebbe aggiunto direttamente allo stipendio netto del lavoratore. Un aumento quindi piuttosto significativo che scatterebbe da dopo la data della possibile pensione.
L’esecutivo aveva già annunciato di volersi muovere in questo senso, ma per lungo tempo l’unica misura in campo era la rimozione della norma che prevedeva il pensionamento obbligatorio dei dipendenti pubblici a 65 anni con alcuni requisiti per quanto riguarda i contributi, o a 67 anni se invece questi stessi requisiti non erano ancora stati raggiunti nei due anni precedenti.
A cosa serve ritardare la pensione dei dipendenti pubblici
Sono almeno tre i motivi per cui il Governo vuole evitare che i dipendenti pubblici vadano in pensione in anticipo o all’età prevista dalla legge Fornero.
- Mancanza generale di dipendenti pubblici. La Pa deve assumere centinaia di migliaia di persone per coprire ruoli attualmente senza addetti, ma fatica a essere competitiva con il settore privato.
- Crisi di occupazione in alcuni specifici settori. Alcuni ambiti della Pa, come la sanità, hanno gravissime carenze di personale molto qualificato che verrebbero tamponate evitando la pensione dei dipendenti più anziani.
- L’aumento della spesa pensionistica. Nei prossimi anni, la generazione più numerosa della storia d’Italia raggiungerà i parametri per andare in pensione, mettendo sotto pressione l’intero sistema previdenziale del Paese.
Quest’ultimo è uno dei temi più complessi da affrontare per il Governo. Il pensionamento delle persone nate negli anni ’60 porterà la spesa pubblica per la previdenza sociale a livelli mai raggiunti prima, peggiorando ulteriormente l’equilibrio dei conti dell’Inps e dello Stato stesso. Ritardare il pensionamento dei dipendenti pubblici spingerebbe di qualche anno più nel futuro la questione, spalmando al contempo l’accesso dei nati nei primi anni ’60 alla previdenza sociale e quindi le spese che ne deriverebbero.