Pensioni più basse per chi vive di più: annuncio-bufera dell’INPS
Pensioni più basse per chi vive di più: annuncio-bufera dell’INPS
Chi ha fatto lavori più umili una volta in pensione incassa meno e vive meno: la proposta è quella di livellare il sistema inserendo coefficienti di trasformazione ponderati
Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.
Pubblicato: 22 Settembre 2023 16:59
Mentre il governo Meloni vaglia ogni opzione per portare a termine la sua riforma delle pensioni, un dossier dell’INPS rischia di sparigliare le carte. L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha puntato i suoi fari sulla durata della vita media, diversa per categorie di soggetti, e sui parametri matematici utilizzati per tradurre l’aspettativa di vita ai fini dell’erogazione degli assegni pensionistici. L’Istituto propone quindi un ricalcolo dei parametri in base all’impiego prima del ritiro e in funzione della speranza di vita. Vediamo come.
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Pensione e vita media
Per farla breve, secondo l'INPS è da anni in corso una disparità fra le diverse categorie di pensionati ed è giunto il momento di aggiustare il tiro: il coefficiente di trasformazione delle pensioni, che è attualmente uguale per tutti, è sbagliato ed è fonte di iniquità. Il motivo è da ricercarsi nel fatto che:
in determinate zone del Paese la durata della vita media è più alta rispetto alla media nazionale. Al netto di alcune migliaia di centenari sparsi nelle varie regioni, in generale la media della longevità massima per i maschi si registra nelle Marche e in Umbria. Le donne più longeve invece si trovano in Trentino-Alto Adige. La speranza di vita invece crolla in Sicilia e Campania: una donna trentina vive in media 22,5 anni dopo il pensionamento mentre una siciliana non raggiunge i 19 anni;
chi ha pensioni più alte vive in media di più e quindi incassa l'assegno pensionistico per più tempo.
Proposto il ricalcolo della pensione
L'Istituto propone quindi un ricalcolo dei parametri in base all’impiego prima del ritiro e in funzione della speranza di vita. A parlare della proposta dell’INPS è un recente articolo del Messaggero, ma per la verità non si tratta di un fulmine a ciel sereno: già lo scorso 13 settembre, in occasione della presentazione del XXII Rapporto annuale presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio, l'INPS aveva messo nero su bianco le disparità che affliggono il sistema pensionistico italiano. Due su tutte:
il fatto che le donne incassino assegni più magri, in media, del -36% rispetto agli uomini;
Rispetto al secondo punto l'INPS ha evidenziato come un ex lavoratore dipendente nella fascia di reddito più bassa abbia una speranza di vita di 67 anni. Si tratta di 5 anni in meno rispetto a un manager a riposo. Fra gli uomini il gruppo più longevo è quello dei pensionati delle gestioni Inpdai (dirigenti), Volo (piloti) e Telefonici.
Secondo l'INPS la soluzione sarebbe dunque quella di riformare l’attuale sistema contributivo tenendo conto nel coefficiente di trasformazione delle tre variabili indicate, ovvero
speranza di vita;
luogo di residenza;
occupazione precedente.
La riforma delle pensioni secondo Meloni
La proposta è stata lanciata, ma la strada è in salita: si rischia di creare contrapposizioni fra regioni, ma anche fra i sessi considerando che le donne vivono in media più degli uomini.
Intanto sul tavolo del governo i grattacapi in materia pensionistica non mancano: l'esecutivo sta valutando se e come riformare la materia puntando su Ape Donna, aumento delle pensioni minime, part time per chi si trovi a fine carriera e detassazione delle tredicesime.
La situazione è complicata e andrà complicandosi ulteriormente negli anni a venire: secondo le simulazioni i 40enni di oggi, che hanno versano i contributi in un sistema contributivo puro, andranno in pensione non prima dei 73 anni.