Negli ultimi mesi, l’Eurozona ha vissuto un periodo di relativo sollievo. Dopo la pandemia e lo shock energetico della guerra in Ucraina, la Banca Centrale Europea è riuscita a riportare l’inflazione verso il suo obiettivo del 2%, attraverso un ciclo di restrizioni monetarie senza precedenti. A settembre, il dato dell’armonizzato indice dei prezzi al consumo si è attestato al 2,2% su base annua. Un traguardo importante, che ha permesso alla Bce di avviare, seppur con cautela, un ciclo di riduzione dei tassi di riferimento.
Tuttavia, il vento potrebbe essere sul punto di cambiare di nuovo. Un coro sempre più forte di analisti ed istituzioni avvertono che un nuovo rialzo del costo del denaro non è affatto da escludere. Il percorso verso una stabilizzazione duratura dei prezzi si sta rivelando infatti più accidentato del previsto.
L’inflazione persistente e i rischi geopolitici
La principale minaccia alla stabilità dei prezzi risiede nella natura stessa dell’inflazione recente. Sebbene il dato complessivo sia confortante, le componenti di base, come i servizi e i prezzi interni, rimangono elevate. Nelle ultime settimane la Bce ha espresso preoccupazione per la persistenza di queste spinte inflazionistiche, che riflettono una forte pressione sui salari. Questo aumento dei prezzi è più difficile da frenare e potrebbe richiedere una politica monetaria restrittiva più prolungata.
A questo si aggiunge l’instabilità geopolitica. Le tensioni in Medio Oriente e le incertezze sull’approvvigionamento energetico continuano a rappresentare un rischio al rialzo per i prezzi delle materie prime e dell’energia. Un nuovo shock in questo settore manderebbe in frantumi le attuali proiezioni.
Il dilemma della Bce, tra crescita e stabilità dei prezzi
La Bce si trova oggi in una posizione delicata. Da un lato c’è la necessità di non soffocare una ripresa economica già fragile e disomogenea tra i paesi membri. I settori come il commercio al dettaglio, le costruzioni e le PMI, fortemente indebitati, patiscono il peso dei tassi elevati. Un ulteriore rialzo rischierebbe di spingere l’economia verso una recessione.
Dall’altro, il mandato primario della Bce è la stabilità dei prezzi. Consentire all’inflazione di risalire o di stabilizzarsi sopra il 2% significherebbe minare la credibilità dell’istituto e vanificare gli sforzi dolorosi degli ultimi due anni. La paura di perdere il controllo delle aspettative di inflazione, che potrebbero disancorarsi, è un fantasma che guida le scelte di Francoforte.
Le prossime mosse
In questo contesto, è fondamentale decifrare ogni comunicazione della Bce. La banca da tempo ha abbracciato una strategia di stretta dipendenza dai dati economici. Quindi, ogni decisione sarà presa riunione dopo riunione, esaminando i nuovi dati su inflazione, salari, produttività e dinamiche di trasmissione della politica monetaria.
La banca centrale ha definito la sua attuale politica come “in una buona posizione“. Tuttavia, come ha precisato la presidente Christine Lagarde, questa condizione “non deve essere vista come fissa”.
Cosa guardare quindi per sperare in un altro taglio dei tassi? I segnali sono i seguenti:
- un chiaro trend al ribasso dell’inflazione di servizi e dei prezzi interni, necessario per confermare l’attuale ciclo di tagli;
- segnali di una ripresa salariale eccessivamente vigorosa;
- l’eventualità di un nuovo shock geopolitico sui prezzi energetici.
In questo scenario, la speranza di un ritorno a denaro a basso costo si allontana, mentre l’incubo di una nuova stretta monetaria diventa sempre più concreto,