Affitti brevi in calo in Italia, perché non conviene più ai proprietari

Il mercato degli affitti brevi in Italia mostra segni di crisi: crollo dei guadagni, meno case disponibili e un'offerta che non è più conveniente per molti proprietari. Ecco perché il presunto boom è in realtà un mito

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

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Il mercato degli affitti brevi in Italia mostra segni di rallentamento evidenti. Gli ultimi dati, emersi dagli Stati Generali degli Affitti Brevi 2025 organizzati dall’Aigab (Associazione italiana gestori affitti brevi), raccontano una realtà dove le opportunità di guadagno sono in calo, la burocrazia cresce, le restrizioni locali si moltiplicano e molti proprietari stanno ritirando le proprie abitazioni dal mercato.

Il mercato degli affitti brevi in Italia è meno redditizio di quanto si pensi

Per lungo tempo gli affitti brevi a destinazione turistica, in particolare attraverso piattaforme come Airbnb e simili, sono stati percepiti come un’attività quasi priva di rischi e ad alto rendimento. Bastava avere una seconda casa, arredarla e pubblicare un annuncio online per iniziare a generare un flusso di reddito. Oggi, invece, i numeri smentiscono questa visione.

In Italia esistono 9,6 milioni di seconde case non utilizzate, ma solo 502.000 vengono realmente promosse per affitti brevi, meno dell’1,4% del totale delle abitazioni. La presunta saturazione del mercato è quindi più mito che realtà. Anzi, nel corso del 2025 il settore ha registrato una contrazione e le case disponibili online sono scese da 538.000 nell’estate 2024 a 502.000 nell’estate 2025, un calo del 7%. Considerando l’intero periodo gennaio-agosto, la riduzione è stata pari all’1%.

Guardando, per esempio, alle principali città italiane emerge un quadro ancora più chiaro:

  • Milano conta 14.164 annunci online, ma solo 7.041 realmente attivi in modo continuativo, appena lo 0,9% delle abitazioni;
  • Roma mostra 21.997 annunci, di cui 14.417 stabilmente attivi, pari all’1% del totale;
  • Firenze, spesso citata come emblema del turismo di massa, ha 9.267 annunci, ma solo 5.903 attivi continuativamente, circa il 2,9% del totale.

Numeri che ridimensionano la narrazione del “boom incontrollato” e vanno letti con attenzione. Certo, l’impatto nei centri storici resta significativo, ma in realtà l’offerta è una nicchia se confrontata con lo stock abitativo complessivo, perché dietro a ogni annuncio in meno c’è un proprietario che ha fatto i conti e ha deciso che non conviene più.

Chi è che affitta

Uno degli aspetti più interessanti messi in luce dall’Aigab riguarda il profilo dei locatori. Il 96% dei proprietari che mettono a reddito una casa con affitti brevi possiede un solo immobile. E nel 30,4% dei casi si tratta di abitazioni ereditate, spesso utilizzate come un “ammortizzatore sociale” per integrare il reddito familiare e sostenere le spese ordinarie e straordinarie legate alla proprietà stessa.

Dunque, contrariamente a quanto si pensi, non parliamo di speculatori o grandi gestori immobiliari. Si tratta in larga parte di famiglie che hanno scelto questa strada per necessità economica, più che per strategia di investimento.

Oggi, però, i margini si assottigliano a causa di tasse, manutenzione, burocrazia e restrizioni locali rendono sempre meno sostenibile questa scelta. Per questo molti hanno addirittura scelto di non affittare più e di utilizzare l’immobile come casa vacanze per sé stessi.

La stretta della burocrazia e delle restrizioni locali

Altro nodo centrale riguarda la regolamentazione. Negli ultimi anni i Comuni hanno iniziato a introdurre norme e vincoli per limitare gli affitti brevi, soprattutto nei centri storici delle grandi città, dove il tema della desertificazione e dell’overtourism è diventato una questione politica oltre che sociale.

Da Roma a Firenze, passando per Milano e Venezia, sempre più amministrazioni hanno imposto registrazioni obbligatorie, limiti ai giorni di locazione, tasse di soggiorno più elevate e controlli stringenti. Tutto questo ha aumentato i costi e la complessità per i proprietari.

Il problema, secondo l’Aigab, è che questa frammentazione normativa crea incertezza e penalizza un settore che contribuisce ancora in maniera significativa al Pil. Si stima infatti che gli affitti brevi generino un impatto positivo complessivo di 41,7 miliardi di euro, suddivisi tra prenotazioni dirette (8,2 miliardi), indotto turistico (33 miliardi) e spese per ristrutturazioni, arredi e manutenzioni (0,6 miliardi). Ma se il trend non si inverte, il 2025 potrebbe chiudersi con un contributo negativo di 5 miliardi al Pil rispetto al 2024.