Videocamere sul lavoro, il licenziamento per furto è illegittimo: la sentenza

Videocamere sul lavoro e licenziamenti disciplinari, ecco quando il Ccnl "blocca" la prova per immagini e invalida la massima sanzione

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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Pochi giorni fa la Cassazione è intervenuta con la sentenza n. 30822, indicando a tutte le aziende un significativo principio applicabile alla generalità dei rapporti di lavoro e, soprattutto, a chi gestisce il personale. Anche dopo le modifiche introdotte dal Jobs Act sui controlli a distanza, il contratto collettivo applicato in ufficio può limitare l’utilizzabilità disciplinare delle riprese audio e video. Di conseguenza il licenziamento basato quasi esclusivamente su quelle prove è illegittimo e, quindi, privo di ogni effetto.

Il caso concreto riguardava il croupier di un casinò, “beccato” mentre si appropriava di due banconote da 100 euro e poi espulso per furto. Nonostante il filmato mostrasse chiaramente l’illecito, il licenziamento è stato annullato. Cerchiamo di capire il perché.

Furto ripreso dalle telecamere: perché il licenziamento è illegittimo

I fatti risalgono a una decina di anni fa. Sul tavolo da gioco erano installate telecamere autorizzate dall’Ispettorato del Lavoro. La finalità era prevenire eventuali contestazioni sulle operazioni di gioco e tutelare il casinò da eventuali illeciti commessi dai clienti.

Come ricordato dalla sentenza che qui interessa, l’autorizzazione dell’Ispettorato (rilasciata prima della riforma del Jobs Act del 2015) fissava una chiara condizione: le immagini non potevano in alcun modo essere usate contro il lavoratore, ma soltanto per sua eventuale difesa. Perciò, a fini disciplinari, gli apparecchi non potevano controllare direttamente che cosa facessero i dipendenti.

Nonostante questo, il datore aveva sfruttato proprio quei contenuti audiovisivi per contestare l’appropriazione del denaro e licenziare il croupier. Ne era seguita una disputa giudiziaria e il giudice di merito, in secondo grado, aveva annullato il licenziamento, ritenendo le registrazioni inutilizzabili. Il datore, però, si era opposto con il ricorso in Cassazione.

Cosa dice la sentenza della Corte di Cassazione

I giudici di piazza Cavour hanno evidenziato la questione centrale dell’autonomia collettiva.

Analizzando con attenzione fonti normative e contrattuali, la Cassazione non si è concentrata tanto sulla disciplina normativa generale dei controlli a distanza, quanto su un aspetto più specifico e determinante: il ruolo della volontà negoziale e del Ccnl applicato nel casinò.

Questi gli elementi chiave per la decisione della Suprema Corte:

  • ai sensi del vecchio testo dell’art. 4 della legge 300/1970, l’Ispettorato del Lavoro prevedeva che le riprese, pur autorizzate, non potessero “in nessun caso costituire oggetto di contestazione disciplinare”;
  • l’autorizzazione amministrativa era stata integralmente recepita e menzionata dal Ccnl (al suo art. 35) applicato ai lavoratori del casinò;
  • sebbene la novella legislativa del 2015 (d. lgs. n. 151/2015) abbia stabilito la generale utilizzabilità delle informazioni raccolte a fini lavorativi, la legge non può travolgere una differente e più favorevole volontà indicata dalle parti collettive nel contratto collettivo.

Perciò, come accertato nei gradi di merito, l’inutilizzabilità delle prove video e delle immagini raccolte dagli apparecchi per le riprese era conseguenza dell’accordo scritto delle parti sociali.

La chiave della decisione sta nella clausola contrattuale più favorevole al dipendente. Questa clausola, spiega la Corte, è inattaccabile espressione dell’autonomia contrattuale collettiva. E resta valida ed efficace anche dopo la nota riforma del 2015.

In concreto, la legge può avere esteso l’utilizzabilità delle riprese, ma non può cancellare la volontà comune delle parti sociali, se quest’ultima dà più tutela al cosiddetto contraente debole.

La riforma del 2015 e il problema delle autorizzazioni precedenti

Come è noto, il Jobs Act ha modificato l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, stabilendo tra l’altro che le immagini raccolte tramite impianti installati per esigenze organizzative, produttive o di sicurezza possono essere usate anche a fini disciplinari.

Tuttavia questo è possibile a condizione che il personale sia informato e siano rispettate le norme sulla privacy.

Ebbene, offrendo indicazioni di portata generale per i rapporti di lavoro, la Corte ha riconosciuto che:

  • le “vecchie” autorizzazioni dell’Ispettorato che vietavano l’uso disciplinare non sopravvivono alla riforma del 2015;
  • la nuova normativa consente l’uso delle telecamere a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro;
  • nel caso in oggetto l’utilizzo della prova video restava comunque vietato, per espressa previsione del Ccnl applicato.

In presenza della summenzionata clausola pattizia, il giudice è sempre tenuto ad applicarla. Parallelamente, la prova raccolta dal datore è stata dichiarata inutilizzabile e, senza quella prova non è stato possibile dimostrare l’appropriazione del denaro.

Ecco perché la Cassazione ha riconosciuto le ragioni del croupier e confermato la pronuncia del giudice d’appello sull’illegittimità del licenziamento disciplinare.

Che cosa cambia per i lavoratori a rischio licenziamento

La decisione chiarisce i confini tra tutela dell’impresa e diritti fondamentali dei lavoratori nell’era dei controlli digitali (si pensi anche ad es. al caso delle telecamere nei negozi). Inoltre, stabilisce un principio chiaro e di grande rilievo: un contratto collettivo più favorevole al lavoratore resta pienamente valido, anche dopo lo spartiacque normativo del 2015.

In linea generale, quando un contratto collettivo include limiti specifici all’uso delle riprese video, questi limiti prevalgono — sempre e comunque — anche sulle norme del Jobs Act.

La sentenza n. 30822/2025 ribadisce la forza dell’autonomia collettiva. Infatti, le parti sociali possono offrire tutele più consistenti rispetto alla legge, e queste tutele hanno piena efficacia anche in materia di controlli a distanza e licenziamenti disciplinari.

La tecnologia aiuta a tutelare il patrimonio aziendale, ma non può essere usata liberamente contro i dipendenti, quando l’autonomia negoziale ha posto limiti precisi. In breve, il Ccnl prevale sulla disciplina legislativa successiva.

Concludendo, il principio giurisprudenziale in oggetto rappresenta e rappresenterà un punto fermo su un tema concreto: la gestione delle immagini raccolte sul luogo di lavoro. Di conseguenza, sarà di monito e orientamento per futuri casi analoghi o simili.