Stipendi, via il segreto salariale: si può avere il risarcimento

Una direttiva europea stabilisce le norme per fronteggiare il 'gender pay gap' tra uomini e donne attraverso il diritto all'informazione sulle retribuzioni

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

Addio al segreto salariale, i lavoratori potranno conoscere le buste paga dei colleghi. A stabilirlo è la direttiva Ue 2023/970 per la parità di retribuzione fra uomini e donne. Grazie a questa nuova normativa, in vigore da maggio, l’Unione europea punta a ridurre il divario di stipendi tra lavoratori e lavoratrici che tra i Paesi membri si attesta in media sul 13% in favore del genere maschile.

La direttiva

Secondo quanto stabilito dal testo emanato dal Parlamento e dal Consiglio europeo, la normativa è rivolta a tutti i datori di lavoro del settore pubblico e privato e “si applica a tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia”, così come anche ai “candidati a un impiego”.

La direttiva prevede innanzitutto che i lavoratori e i loro rappresentanti sindacali abbiano il diritto di ricevere informazioni chiare ed esaustive sul loro livelli retributivo individuali e sui livelli medi, ripartiti per genere.

Anche in fase di assunzione, i candidati avranno il diritto di ricevere, dal potenziale datore di lavoro, informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla relativa fascia da attribuire alla posizione in questione, sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere ed eventualmente sulle disposizioni del contratto collettivo applicate dal datore di lavoro in relazione alla posizione (qui avevamo spiegato i cambiamenti della direttiva sui colloqui di lavoro).

I datori di lavoro dovranno rendere facilmente accessibili ai propri lavoratori i parametri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica, sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere.

“Se le informazioni ricevute sono imprecise o incomplete – chiarisce il testo – i lavoratori hanno il diritto di richiedere, personalmente o tramite i loro rappresentanti dei lavoratori, chiarimenti e dettagli ulteriori e ragionevoli riguardo ai dati forniti e di ricevere una risposta motivata”.

In ogni caso il datore di lavoro dovrà dare seguito alla richiesta non oltre i due mesi dalla data in cui è stata presentata.

Saranno vietate, inoltre, eventuali clausole contrattuali che impediscano ai dipendenti di chiedere e divulgare informazioni in merito sul loro compenso o sulla retribuzione di altre categorie di lavoratori.

“Qualora le differenze retributive di genere non siano motivate sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere –  si legge nella direttiva – i datori di lavoro pongono rimedio alla situazione entro un termine ragionevole in stretta collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori, l’ispettorato del lavoro e/o l’organismo per la parità”.

I risarcimenti

In caso di contenzioso, l’onere della prova sarà attribuito al datore di lavoro che dovrà dimostrare di non aver violato le norme europee in materia di ‘gender pay gap’ e trasparenza retributiva.

Alle lavoratrici e a i lavoratori che hanno subito una discriminazione retributiva basata sul genere è riconosciuto un risarcimento che comprenda “il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora” (qui l’approfondimento sulle nuove misure approvate dal Parlamento europeo sulla parità di retribuzione).