Rdc, chi rischia con la nuova stretta del governo

Nel testo del decreto legge Lavoro anche una norma che inasprisce le pene per i cosiddetti “furbetti”: dalle false dichiarazioni alle omissioni, tutte le novità

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Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

Fare dell’ironia è stato relativamente semplice per gli organi di stampa e i partiti di opposizione, dopo la diffusione della notizia che il decreto legge Lavoro – licenziato dal Consiglio dei ministri nella riunione assai contestata dello scorso 1° maggio – era stato respinto dal voto in commissione al Senato nel pomeriggio di ieri (mercoledì 21 giugno). Gli emendamenti presentati da Fratelli d’Italia al testo originale non hanno passato l’esame che precede l’approdo in Aula, raccogliendo solamente 10 pareri favorevoli, con altrettanti contrari (un risultato che, a Palazzo Madama, equivale ad una bocciatura).

A finire sul tavolo degli imputati sono stati due esponenti della maggioranza, entrambi eletti nelle file di Forza Italia, che non sarebbero riusciti ad arrivare in tempo per partecipare alla votazione. E così, mentre i capigruppo dei partiti di centrodestra si affrettavano a parlare di un “piccolo incidente di percorso”, ci ha pensato Ignazio La Russa (in maniera involontaria) a tenere calda la polemica, svelando che i due presunti “colpevoli” si sarebbero attardati ai propri compiti a causa di un “cocktail party” per il compleanno di una collega.

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Una figuraccia, dunque, per l’esecutivo: c’è da scommettere che la stessa Giorgia Meloni non abbia preso bene quanto accaduto, proprio nelle stesse ore in cui il suo ministro Luca Ciriani (titolare dei Rapporti con il Parlamento) aveva richiamato tutti gli esponenti della maggioranza ad una presenza assidua e costante nelle stanze dei lavori.

Ma il passaggio a vuoto non ha avuto effetti solamente sulla credibilità della coalizione, minata dalle ripercussioni conseguenti alla scomparsa di Silvio Berlusconi: la stessa approvazione del dl Lavoro rischia ora di subire degli inevitabili ritardi, mettendo a rischio gli effetti delle misure contenute.

Uno dei temi cardine del provvedimento è quello che riguarda l’inasprimento delle pene per i cosiddetti furbetti del Reddito: stiamo parlando dei trasgressori che cercano di percepire l’assegno di cittadinanza pur non avendone i requisiti. Una pratica illegale portata avanti a suon di dichiarazioni mendaci e documenti falsificati, nel tentativo di incassare illecitamente quello che il governo Meloni ha da poco tramutato nel nuovo Assegno di inclusione.

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La stretta dell’esecutivo prevede la reclusione da un minimo di 2 fino ad un massimo di 6 anni per chiunque metta in atto un meccanismo di frode ai danni dell’erario pubblico tramite le modalità elencate in precedenza (che sono quelle ritenute più gravi). Pene innalzate anche nei confronti di quei cittadini che (si legge nel testo) mancano di comunicare “eventuali variazioni del reddito o del patrimonio – anche se provenienti da attività irregolari – nonché altre informazioni dovute e rilevanti ai fini del mantenimento del beneficio”. Per questa categoria, la punizione consiste nella reclusione da 1 a 3 anni.

Tutto questo mentre l’ultimo rapporto dalla Guardia di Finanza (diffuso in occasione della cerimonia di commiato dell’ex comandante generale Giuseppe Zafarana, nominato nuovo presidente dell’Eni) parla di 4.633 controlli sui percettori dell’Assegno di inclusione: verifiche che hanno portato all’individuazione di illeciti per una mole di denaro quantificabile in 42 milioni di euro, con la relativa denuncia di quasi 3mila responsabili.