Il divario tra Nord e Sud si vede anche dalle retribuzioni. Mentre nelle regioni settentrionali i lavoratori percepiscono una retribuzione media lorda giornaliera di 101 euro, nel Mezzogiorno i colleghi guadagnano solo 75 euro. In pratica, i primi ricevono uno stipendio giornaliero del 35% superiore rispetto ai secondi. Questa differenza è essenzialmente legata alla produttività del lavoro, che al Nord risulta superiore del 34% rispetto al Sud.
Questi elementi, emersi dall’analisi condotta dall’Ufficio studi della Cgia sui dati Inps e Istat, riportano alla luce una questione di lunga data: le disparità retributive tra le diverse aree del Paese, in particolare tra Nord e Sud, ma anche tra aree urbane e rurali.
Le retribuzioni medie lorde per regione
A livello regionale, la retribuzione media annua lorda in Lombardia è di 28.354 euro, mentre in Calabria è poco più della metà, ovvero 14.960 euro. In Lombardia, la produttività del lavoro è pari a 45,7 euro per ora lavorata, mentre in Calabria scende a 29,7 euro.
- Lombardia: 28.354 euro
- Trentino-Alto Adige: 23.362 euro
- Emilia-Romagna: 24.593 euro
- Lazio: 23.175 euro
- Piemonte: 24.549 euro
- Liguria: 22.552 euro
- Veneto: 23.691 euro
- Friuli-Venezia Giulia: 23.319 euro
- Valle d’Aosta: 19.509 euro
- Toscana: 21.621 euro
- Marche: 20.279 euro
- Umbria: 20.222 euro
- Abruzzo: 18.772 euro
- Basilicata: 17.530 euro
- Sardegna: 16.958 euro
- Molise: 17.357 euro
- Campania: 16.861 euro
- Puglia: 16.942 euro
- Sicilia: 16.507 euro
- Calabria: 14.960 euro
L’analisi delle retribuzioni medie lorde nelle province italiane per i lavoratori dipendenti del settore privato mostra che, nel 2022, Milano è stata la città con gli stipendi più alti, raggiungendo i 32.472 euro. A seguire, Parma con 26.861 euro, Modena con 26.764 euro, Bologna con 26.610 euro e Reggio Emilia con 26.100 euro. In queste province emiliane, la presenza di settori altamente produttivi e a elevato valore aggiunto, come la produzione di auto di lusso, meccanica, automotive, meccatronica, biomedicale e agroalimentare, ha consentito retribuzioni molto elevate. Qui la classifica completa delle città in cui si guadagna di più.
Al contrario, i lavoratori dipendenti con gli stipendi più bassi si trovano a Trapani, con una media di 14.365 euro, a Cosenza con 14.313 euro e a Nuoro con 14.206 euro. La situazione peggiore è a Vibo Valentia, dove i dipendenti guadagnano solo 12.923 euro all’anno. La media nazionale, invece, si attestava a 22.839 euro.
Perché al Sud si lavora di meno
Secondo un’analisi dell’Ufficio studi Cgia su dati Inps, nel 2022 il numero medio di giornate retribuite al Nord è stato di 253, mentre al Sud si è fermato a 225. Questo significa che un operaio del settentrione ha lavorato 28 giorni in più, equivalenti a oltre 5 settimane lavorative aggiuntive rispetto a un collega del meridione.
Ma perché si lavora meno al Sud? Oltre alla maggiore diffusione dell’economia sommersa, che rende difficile contabilizzare le ore lavorate in modo irregolare, il mercato del lavoro meridionale è caratterizzato da una forte presenza di lavoratori precari, intermittenti, specialmente nei servizi, e stagionali legati al settore del turismo, fattori che abbassano significativamente la media delle giornate lavorate.
Come incentivare il lavoro
Come segnalato anche dal Cnel, il problema dei lavoratori poveri non sembra dipendere dai minimi tabellari troppo bassi, ma dal fatto che queste persone lavorano “poco” durante l’anno. Pertanto, anziché introdurre un salario minimo legale, sarebbe più efficace contrastare l’abuso di contratti a tempo ridotto.
L’Ufficio studi della Cgia suggerisce, inoltre, che per aumentare gli stipendi, soprattutto per i lavoratori con qualifiche professionali inferiori, sarebbe necessario proseguire con il taglio dell’Irpef e incentivare la contrattazione decentrata.
“Avendo una quota di lavoratori coperto dalla contrattazione collettiva nazionale tra le più alte a livello europeo (98,7 per cento del totale dei lavoratori dipendenti del settore privato), dovremmo “spingere” per diffondere ulteriormente anche la contrattazione di secondo livello, premiando, in particolar modo, la decontribuzione e il raggiungimento di obbiettivi di produttività, anche ricorrendo ad accordi diretti tra gli imprenditori e i propri dipendenti.” Questo approccio potrebbe offrire una risposta ai lavoratori del Nord, in particolare nelle aree più urbanizzate, che hanno subito una significativa perdita del potere d’acquisto a causa del recente aumento dell’inflazione.
Ccnl scaduto, 4,7 milioni di dipendenti in attesa del rinnovo
Oltre a promuovere la contrattazione decentrata, l’Ufficio studi della Cgia sottolinea l’importanza di rinnovare i contratti di lavoro scaduti per aumentare le retribuzioni. A fine giugno di quest’anno, 4,7 milioni di dipendenti, pari al 36% del totale, erano in attesa di rinnovo contrattuale.
Sebbene questo dato sia diminuito rispetto allo stesso periodo del 2023 (52,8%), la percentuale di lavoratori privati in attesa di rinnovo è ancora al 18,2%. Inoltre, il tempo medio di attesa per un rinnovo è di 23,2 mesi, che si riduce a 4,2 mesi per i dipendenti del settore privato. Questo suggerisce che i ritardi nei rinnovi colpiscono più il settore pubblico che quello privato.
Individuare le cause dei ritardi nel settore privato non è semplice, ma è probabile che una delle ragioni principali sia la difficoltà delle parti sociali a trovare un accordo sugli aumenti salariali che soddisfi sia le esigenze del Nord che del Sud.
“Non essendo sviluppata sufficientemente la contrattazione di secondo livello – che per sua natura è in grado di premiare la produttività aziendale/territoriale e definire le contromisure per contrastare l’inflazione che, come sappiamo, ha tassi differenziati tra regioni e regioni e tra aree centrali e aree periferiche – è sempre più difficile raggiungere una intesa sugli aumenti retributivi di settore entro la scadenza prevista per un contratto che vada bene da Vipiteno fino a Lampedusa”.