Salario minimo, polemiche sulla legge delega al Governo

La legge delega sul salario minimo divide politica e sindacati. Niente soglia di 9 euro l’ora, ma nuove regole sui contratti più applicati

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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In questi giorni, tra le notizie in materia di lavoro, tiene banco l’approvazione da parte del Senato del disegno di legge che, di fatto, consegna al Governo la delega per l’emanazione di decreti legislativi sul salario minimo. Ciò che, almeno in superficie, appare una sorta di traguardo dopo anni di dibattito e scontro partitico e sindacale su eque retribuzioni e contrattazione collettiva, è tuttavia una vittoria politica a metà. Per l’opposizione, infatti, la legge delega non è il miglior risultato per il futuro economico di milioni di lavoratori.

Cos’è la legge delega sull’equa retribuzione

In origine i partiti dell’opposizione avevano redatto e firmato una proposta di legge focalizzata sull’introduzione del salario minimo per tutti e pari a 9 euro lordi l’ora. Ambiva a diventare immediatamente legge dello Stato, a tutti gli effetti.

Tuttavia il percorso di approvazione appena terminato ha trasformato in legge delega l’originario ddl e, quindi, in un atto che passa ora nelle mani dell’Esecutivo e che non prevede più alcun riferimento al minimo orario.

In pratica, se da un lato il Parlamento ha accolto la finalità di base del ddl, dall’altro ha dato al Governo il potere di emanare decreti legislativi per definire modalità, importi e ambiti del salario minimo. Sarà quindi l’Esecutivo, di sua iniziativa, a stabilire le regole in materia, in modo del tutto indipendente dallo spirito originario della proposta del centrosinistra.

Le critiche di opposizione e sindacati

Non sorprende allora che, a livello sindacale, sia secca la risposta della Uil, che boccia l’esito al Senato nella convinzione che la legge delega sul salario minimo non è quello che i lavoratori attendevano.

Per ridare dignità al lavoro, spiega il terzo sindacato italiano, è necessaria una legge di sostegno agli accordi interconfederali e al Testo Unico sulla rappresentanza, così da supportare la contrattazione collettiva e combattere il dumping contrattuale.

Per capire ancora meglio quanto successo al Senato, e riflettere autonomamente sul delicato tema dell’introduzione del salario minimo, è opportuno citare il parere vicepresidente della decima commissione al Senato, di area M5S.

Secondo Orfeo Mazzella l’approvazione definitiva è in verità uno strumento di propaganda politica che stravolge il testo originario presentato unitariamente dalle opposizioni a Montecitorio.

In particolare, per la delega, dovranno essere garantiti ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi, ma senza fissare livelli minimi sotto i quali non scendere.

Ecco perché contro un asserito snaturamento dell’iniziativa originaria hanno votato tutte le opposizioni insieme a Italia Viva – che a Montecitorio non aveva firmato il disegno di legge presentato dai leader dei partiti di centrosinistra.

Cosa potrà fare il Governo con i decreti

I decreti attuativi o legislativi saranno lo strumento con cui il Governo porterà in norme concrete ciò che il Parlamento ha fissato a livello generale, con il doppio passaggio in Aula.

Al momento, ovviamente, non si sanno ancora i contenuti di questi atti ma è possibile indicare i punti chiave del meccanismo di introduzione del salario minimo in Italia.

L’Esecutivo:

  • scriverà le norme, entro i limiti e i criteri indicati dalla legge delega approvata in ultimo in Senato;
  • non potrà discostarsene, ma avrà ampio margine di discrezionalità sui dettagli tecnici e di funzionamento dell’equa retribuzione;
  • è delegato a varare uno o più decreti entro 6 mesi.

In particolare, nella delega si legge che gli atti del Governo dovranno:

definire, per ciascuna categoria di lavoratori, i contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati in riferimento al numero delle imprese e dei dipendenti, al fine di prevedere che il trattamento economico complessivo minimo dei contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati costituisca, ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione, la condizione economica minima da riconoscere ai lavoratori appartenenti alla medesima categoria.

Cosa cambia con la nuova legge delega

Si tratta di un criterio già menzionato nel testo delle opposizioni, che tuttavia indicavano però anche una soglia minima di 9 euro lordi orari. Sono esclusi da questa norma i lavoratori del pubblico impiego.

Inoltre, ai gruppi di lavoratori non coperti da contrattazione collettiva, sarà necessario applicare il Ccnl della categoria più simile, al fine di allargare a loro favore i livelli minimi previsti.

Parallelamente, andranno introdotti meccanismi in grado di incentivare la contrattazione integrativa, con lo scopo di renderla più elastica e in grado di rispondere sia alle variazioni del costo della vita, sia alle differenze territoriali che pesano su questo costo.

Spariscono sindacati e contrattazione

Nella legge delega sparisce l’originario riferimento (voluto dal Pd) ai contratti firmati dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, mirato a escludere quelle favorevoli alla firma dei cosiddetti accordi pirata, meno tutelanti per i lavoratori sul piano retributivo.

Non solo. Nel passaggio alla legge delega finale, la maggioranza ha rifiutato alcuni emendamenti dell’opposizione che volevano la concertazione con i sindacati come condizione per varare i decreti.

Ricapitolando, per la maggioranza fissare per legge un salario minimo rischierebbe di depotenziare la contrattazione collettiva e appiattire le differenze tra settori. Preferibile allora il rafforzamento dei Ccnl e assicurare che siano quelli “più applicati” a fare da bussola.

Come accennato sopra, l’impostazione ha suscitato le dure reazioni dei partiti dell’opposizione, insieme al fattore tempistiche. Finché i decreti non saranno emanati, infatti, le nuove regole non potranno esistere. Ma, d’altronde, la legge delega ha già rivisto completamente l’impianto originario della proposta di legge.

In conclusione, il principio di fondo che animerà i lavori sui decreti sarà quello di restituire dignità alla retribuzione dei lavoratori, in un periodo storico in cui carovita, inflazione e diminuzione del potere d’acquisto sono incognite che spaventano milioni di famiglie.

Concretamente, potrebbero guadagnare qualche euro in più all’ora tutti i lavoratori che oggi sono inquadrati con contratti poco diffusi e poco tutelanti (ad esempio camerieri, addetti mensa, facchini, magazzinieri), che verrebbero “assorbiti” dai contratti collettivi maggiormente applicati.