La Camera dei deputati si è espressa a favore del rinvio in Commissione lavoro per la proposta di legge presentata dalle forze di opposizione al governo di Giorgia Meloni per ridurre l’orario di lavoro dei dipendenti a parità di stipendio. Non un bel segnale per i promotori dell’iniziativa che, infatti, accusano l’esecutivo di non essere attento alle istanze sociali e di essere intenzionato ad allungare i tempi con il solo fine di bocciare la proposta. Si tratterebbe, va detto, di un grande passo per l’Italia dove, dati Ocse, il numero annuale di ore di lavoro è molto più alto rispetto agli altri Paesi d’Europa.
Orario ridotto con lo stesso stipendio, la proposta
La proposta di legge per ridurre le ore di lavoro e lasciare immutati gli stipendi vede come primi firmatari i segretari di AVS Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, cui si sono aggregati anche i leader del M5s Giuseppe Conte e del Partito democratico Elly Schlein. Al grido di “Lavorare meno per vivere meglio”, ha lo scopo di concedere maggiore tempo libero ai lavoratori così che gli stessi possano migliorare la propria qualità di vita.
Al dato pratico, si sostanzierebbe su nuovi accordi collettivi tra imprese, sindacati e rappresentanze dei lavoratori che permettano di portare l’orario settimanale standard da 40 a 32 ore lasciando immutati i salari. In sostegno al proprio obiettivo, la proposta cita lo studio dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) che ha dimostrato come la riduzione dell’orario lavorativo migliori l’equilibrio tra vita privata e professionale e sia in grado di incidere in positivo sulla salute e il benessere delle persone. E ancora, un flessibilità oraria ben gestita, oltre a rendere più agevole la vita dei dipendenti, non comporta nessuna perdita della produttività.
Malgrado gli ottimi proposti, il rinvio alla Commissione lavoro deciso dalla Camera in data 12 febbraio 2025 lascia intuire che l’intento del governo di Giorgia Meloni possa essere quello di affossare la proposta delle opposizioni. Dal canto suo l’esecutivo fa trapelare che, al momento, non ci sarebbero sufficienti coperture per permettere alla proposta di diventare legge.
Le iniziative simili in Europa
Di settimana corta e riorganizzazione del lavoro si parla in Italia ormai da diverso tempo e le ragioni non sono così difficili da trovare. Secondo l’Ocse, infatti, siamo tra i Paesi con il più alto numero di ore lavorate in Europa, ben 1.734 in un anno. Per fare qualche esempio, in Germania il dato scende a 1.360 ore, in Francia a 1.522. A fronte di tutto questo tempo passato a lavoro, l’Italia non gode di una maggiore produttività o di salari più alti per i lavoratori, visto che su quest’ultimo aspetto si trova solo al 22esimo posto della classifica generale. E ancora, dal 1990 al 2020 il valore degli stipendi medi annuali italiani è sceso del 2,9%, mentre in Germania e Francia – dove si lavorano meno ore – ha visto aumenti superiori al 30%.
Attualmente in Italia solo alcune grandi aziende come Intesa Sanpaolo, Lamborghini e Luxottica prevedono per i propri lavoratori la possibilità di spalmare le ore lavorative su quattro giorni invece che su cinque. Questo mentre in altri Paesi, come di recente in Spagna, i governi hanno dato il via libera alla settimana corta o comunque hanno avviato una fase di sperimentazione concreta. Sta avvenendo in Regno Unito, in Islanda, in Belgio, in Giappone, in Scozia, in Nuova Zelanda e in Portogallo.