Sindacati sul piede di guerra per alcuni licenziamenti a seguito del cosiddetto “test del finto cliente“.
La vicenda è esplosa tra Siena e Livorno, con tre cassieri licenziati dopo un controllo sotto copertura. Il “test del carrello”, nella sua versione aziendale del “finto cliente”, è una pratica diffusa nella grande distribuzione e nella ristorazione, ma la modalità utilizzata da Pam e soprattutto l’esito dei controlli hanno acceso la polemica.
Indice
Cos’è il test del finto cliente
Il “test del finto cliente” è un controllo interno e non annunciato, effettuato da ispettori aziendali o valutatori incaricati. L’operatore si presenta come un normale cliente, posiziona deliberatamente merce nascosta nel carrello, dentro casse di birra, tra bottiglie d’acqua o sotto prodotti voluminosi, e si reca alla cassa per verificare se il cassiere se ne accorge.
Nel caso dei punti vendita Pam coinvolti, gli ispettori avrebbero occultato piccoli articoli, espressamente per testare l’attenzione dei dipendenti.
Chi è il finto cliente
Il finto cliente, come detto, è un ispettore aziendale o un valutatore esterno ingaggiato dall’impresa. Si tratta di una figura utilizzata in molti settori per valutazioni qualitative, ma anche per verifiche disciplinari. Nell’ambito dei call center, ad esempio, il finto cliente effettua chiamate agli operatori fingendosi un utente in difficoltà e diventando offensivo per testare la calma e la gentilezza di chi risponde al telefono, oppure ostentando una ottusità disarmante.
Tornando alla grande distribuzione, secondo le testimonianze raccolte dai sindacati, nel caso Pam gli ispettori avrebbero agito in modo particolarmente invasivo: non solo merce nascosta, ma anche pressioni psicologiche, provocazioni e atteggiamenti considerati trappole.
I tre licenziamenti tra Siena e Livorno
Il primo caso riguarda Fabio, 62 anni, dipendente del supermercato Pam a Siena. Di lui parla in quotidiano La Nazione. L’uomo aveva già affrontato un primo test, superandolo, ma alla seconda verifica non avrebbe rilevato alcuni articoli nascosti. L’azienda lo ha licenziato per giusta causa.
Dopo la diffusione della notizia, altri due casi sono emersi a Livorno: Tommaso con quasi trent’anni di servizio e Davide con oltre vent’anni di anzianità. Entrambi sarebbero stati allontanati dopo test analoghi.
La reazione dei sindacati
Filcams Cgil, UilTucs e altre organizzazioni sindacali accusano i controlli di avere natura vessatoria. Secondo i rappresentanti dei lavoratori, il metodo utilizzato sarebbe stato costruito “per indurre in errore” il dipendente, rendendo il test una vera imboscata e non una verifica tecnica. I sindacati contestano sia la modalità sia la sanzione: non solo un richiamo disciplinare, ma il licenziamento immediato.
È legale in Italia il test del finto cliente?
La normativa italiana non vieta in assoluto i controlli sotto copertura, purché rispettino alcuni limiti:
- devono essere finalizzati alla tutela del patrimonio o alla qualità del servizio;
- non devono configurare controllo a distanza vietato dallo Statuto dei lavoratori;
- devono rispettare il principio di proporzionalità (non è ammesso creare difficoltà artificiali tali da trasformare il test in un tranello).
Secondo alcuni giuslavoristi, tra cui la professoressa Silvia Ventura citata dal quotidiano, la legalità formale del metodo non significa che sia legittima ogni sua applicazione. Se il test crea condizioni improbabili o volutamente ingannevoli, può configurarsi come violazione dei principi di correttezza e buona fede.
Il licenziamento è legittimo?
In Italia, il licenziamento per giusta causa deve basarsi su un comportamento talmente grave da rendere immediatamente impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. Non è sufficiente un errore, nemmeno un errore ripetuto, se non dimostra dolo o grave negligenza.
Secondo i giuslavoristi che si sono espressi sulla vicenda, la mancata individuazione di un oggetto nascosto in modo artificioso tra prodotti voluminosi difficilmente può costituire giusta causa, salvo casi molto specifici. Inoltre, il fatto che si tratti di una simulazione può rendere il licenziamento sproporzionato, perché il dipendente non sta realmente tollerando un furto: è vittima di un test creato per individuarne un errore.
Cosa succede adesso
I sindacati promettono battaglia e i tre licenziamenti potrebbero essere impugnati. La vicenda potrebbe dunque finire sul tavolo del giudice del lavoro.
Intanto monta la polemica politica, con Avs in prima linea nell’annunciare una interrogazione al ministro del Lavoro Marina Calderone: “Non è accettabile che in Italia si possa perdere il lavoro per ’prove’ arbitrarie che trasformano i dipendenti in sospetti da sorvegliare invece che in persone da rispettare”. Il caso arriverà anche ai tavoli nazionali, con un incontro già fissato a Roma tra sindacati e azienda.