Le donne nell’Unione europea continuano a guadagnare meno degli uomini, con un divario retributivo medio di genere nell’UE pari al 13%. Tradotto, significa che per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna ne guadagna solo 0,87. Oggi, 15 novembre, cade l’Equal Pay Day, la data che simboleggia quanti giorni in più le donne devono lavorare fino alla fine dell’anno per guadagnare quello che gli uomini hanno guadagnato nello stesso anno. Questo divario retributivo di genere -che ha radici lontane, e “familiari”, come ha spiegato la neo Premio Nobel per l’Economia Claudia Goldin, equivale a una differenza di circa un mese e mezzo di stipendio all’anno. In pratica, da oggi le donne lavorano gratis fino a fine anno.
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Il gender pay gap in Europa
Il divario retributivo di genere misura un concetto più ampio della discriminazione retributiva e comprende un gran numero di disuguaglianze che le donne devono affrontare nell’accesso al lavoro, nella progressione e nelle ricompense. A partire da quella che Bruxelles definisce “segregazione settoriale“: circa il 24% del divario retributivo di genere è legato alla sovrarappresentanza delle donne in settori relativamente poco retribuiti, come l’assistenza, la sanità e l’istruzione. I lavori altamente “femminilizzati” tendono ad essere sistematicamente sottovalutati.
C’è poi il problema della quota diseguale di lavoro retribuito e non retribuito: le donne hanno più ore di lavoro settimanali rispetto agli uomini, ma dedicano più ore al lavoro non retribuito, un fatto che potrebbe influenzare anche le loro scelte di carriera. Questo è il motivo per cui l’Unione promuove un’equa condivisione dei congedi parentali, un’adeguata offerta pubblica di servizi di assistenza all’infanzia e politiche aziendali in materia di orari di lavoro flessibili.
Non solo. In Europa si parla molto del cosiddetto “soffitto di vetro” (in Italia quasi nessuno sa cosa sia, talmente il problema è percepito come lontano): la posizione nella gerarchia influenza il livello di retribuzione. Meno di 1 amministratore delegato su 10 delle principali aziende è donna. Tuttavia, la professione con le maggiori differenze di retribuzione oraria nell’Ue è proprio quella dei manager: il 23% di retribuzione inferiore per le donne rispetto agli uomini.
Infine, la discriminazione retributiva tout court: in alcuni casi, le donne guadagnano meno degli uomini per aver svolto lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, anche se il principio della parità retributiva è sancito nei trattati europei (articolo 157 TFUE) dal 1957.
Cos’è l’Equal Pay Day
Oggi, il divario occupazionale di genere è pari al 10,7%, con il 69,3% delle donne in tutta l’Ue occupate, rispetto all’80% degli uomini. Il giorno dell’anno in cui simbolicamente le donne smettono di essere retribuite rispetto agli uomini si chiama appunto Equal Pay Day. La Commissione Europea celebra ogni anno questa giornata per continuare a sensibilizzare sul fatto che le lavoratrici in Europa continuano a guadagnare in media meno dei loro colleghi uomini. Una data che cambia, evidentemente, a seconda dell’ultima cifra relativa al divario retributivo di genere nell’UE.
Anche 12 Paesi Ue singolarmente organizzano una giornata per la parità retributiva in base al divario salariale nel loro Paese: sono Francia, Austria, Belgio, Germania, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia, Repubblica Ceca, Estonia, Slovacchia e Cipro. In Italia, non esiste.
“L’Equal Pay Day serve a ricordarci di continuare i nostri sforzi per colmare il divario retributivo di genere. La parità di retribuzione per lo stesso lavoro o per un lavoro di pari valore è uno dei principi fondanti dell’UE, stabilito nel Trattato di Roma del 1957” ricordano la vicepresidente per i Valori e la trasparenza Ue Věra Jourová e la commissaria per l’Uguaglianza Helena Dalli. In effetti l’obbligo di garantire la parità di retribuzione è stabilito dall’articolo 157 Trattato e dalla Direttiva Ue sulle pari opportunità e il trattamento degli uomini e delle donne in materia di occupazione e impiego. Tuttavia, gender gap e salary gap rimangono piaghe profonde in seno ai Paesi Ue, in Italia in particolare.
Cosa sta facendo l’Europa per la parità di genere
Eppure la Commissione europea lavora costantemente per promuovere la parità tra donne e uomini. La presidente Ursula von der Leyen ha annunciato misure vincolanti in materia di trasparenza salariale come una delle sue priorità politiche. Nel giugno 2019 il Consiglio ha invitato la Commissione a sviluppare misure concrete per aumentare la trasparenza salariale. Nel marzo 2020, la Commissione ha pubblicato la strategia per l’uguaglianza di genere 2020-2025 che definisce azioni per colmare il divario retributivo di genere, seguita pochi mesi dopo dal piano d’azione 2021-2025 sull’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne nell’azione esterna.
Il 6 giugno è entrata in vigore la direttiva sulla trasparenza salariale, che stabilisce un quadro chiaro per l’applicazione del concetto di “lavoro di pari valore” e criteri che includono competenze, impegno, responsabilità e condizioni di lavoro. Dovrebbe anche aiutare tutti noi lavoratori a identificare e contrastare la discriminazione di cui potremmo essere vittime. La direttiva aiuta inoltre i datori di lavoro a valutare se nella pratica le loro strutture retributive rispettano il principio della parità retributiva. Anche introducendo regole trasparenti sui colloqui di lavoro.
Nella pratica, i dipendenti potranno far valere il loro diritto alla parità di retribuzione per lo stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso il diritto ad avere informazioni sulla retribuzione. Chi ha subito discriminazioni salariali basate sul sesso ha anche diritto a un risarcimento per il lavoro non retribuito e deve ricevere una retribuzione equa. Obiettivo chiaramente è che le donne e gli uomini in tutta l’Unione europea ricevano la stessa retribuzione per lo stesso lavoro.
La Commissione Europea intende sostenere lo sviluppo di strumenti e metodologie affinché i datori di lavoro europei possano correggere eventuali differenze retributive di genere ingiustificate. Per questo sta stanziando 6,1 milioni di euro nell’ambito del programma “Cittadini, Uguaglianza, Diritti e Valori” (CERV). Ora come sempre la palla passa agli Stati membri. Gli Stati membri hanno 3 anni per recepire la direttiva nel proprio diritto nazionale.
Le direttive Ue a favore delle donne
Ma c’è altro. Nel dicembre 2022 è entrata in vigore la direttiva volta a migliorare l’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione. Direttiva che affronta una delle principali cause profonde del divario retributivo di genere, il cosiddetto “soffitto di vetro” causato dalla mancanza di trasparenza nelle nomine dei membri del consiglio di amministrazione delle imprese. La direttiva ha l’obiettivo di garantire che le nomine ai posti di consiglio siano trasparenti e che i candidati a posti di consiglio siano valutati oggettivamente sulla base dei loro meriti individuali, indipendentemente dal sesso.
Nel settembre 2022 la Commissione ha presentato poi la strategia europea per l’assistenza sanitaria per garantire servizi di assistenza di qualità, convenienti e accessibili in tutta l’Unione europea. La strategia è accompagnata da due raccomandazioni per gli Stati Membri sulla revisione degli obiettivi di Barcellona sull’educazione e cura della prima infanzia e sull’accesso ad un’assistenza a lungo termine di alta qualità e a prezzi accessibili.
La Commissione cerca anche di affrontare la sottorappresentanza delle donne nel mercato del lavoro migliorando l’equilibrio tra lavoro e vita privata dei genitori e dei prestatori di assistenza che lavorano. La nuova Direttiva sulla conciliazione tra lavoro e vita privata è entrata in vigore il 2 agosto 2022.
Com’è messa l’Italia: il gender pay gap nel Belpaese
Per quanto riguarda l’Italia, estrapolando i dati dell’ultimo Osservatorio INPS sui lavoratori dipendenti del settore privato, si nota come siano palesi profonde differenze salariali: da noi, le donne lavoratrici guadagnano quasi 8mila euro in meno in un anno. Gender pay gap addirittura in aumento, seppur di poco, rispetto al 2021, quando era pari a 7.908 euro, mentre nel 2022 è salito a 7.922. Scendendo più nel dettaglio, la retribuzione media annua a livello nazionale per i dipendenti uomini del settore privato è 26.227 euro, mentre per le loro colleghe scende a 18.305.
Va detto che la disparità di trattamento salariale è in parte dovuta alla maggiore presenza di lavoratrici part-time rispetto ai colleghi maschi, formula pagata evidentemente meno rispetto al tempo pieno. A questo proposito, nel 2022 le donne con lavoro part-time sono state oltre 3,5 milioni, contro poco più di 2 milioni di uomini. In percentuale, la quota di lavoratrici con almeno un part time nell’anno è stata pari a circa il 49%, quella dei dipendenti è appena del 21%.
Il divario di stipendio non è però solo legato al genere, ma anche all’età anagrafica e all’area territoriale. Gli stipendi dei giovani sono decisamente bassi rispetto al costo della vita e al potere d’acquisto e inoltre risulta improbabile che un domani possano raggiungere gli stipendi degli attuali profili senior.
Per quanto riguarda, invece, le diverse zone del Paese, l’Osservatorio INPS evidenzia che gli stipendi medi delle aziende private delle regioni di Nord Ovest sono decisamente più elevati di quelli delle altre aree territoriali. In particolare, se la media al Nord Ovest si attesta su 26.933 euro annui, al Nord Est scende a 23.947 euro, al Centro raggiunge 22.115 euro, quasi 5 mila euro in meno. Differenza che aumenta ancora di più rispetto agli stipendi medi delle regioni del Sud, 16.959 euro, e delle Isole, 16.641 euro: oltre 10 mila euro in meno.