Naspi salva dopo l’errore dell’azienda sull’Ateco, il chiarimento Inps

La Naspi (indennità di disoccupazione) non viene persa se cambia il codice Ateco, a prescindere dal motivo: lo dice l'Inps con un messaggio

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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Come è noto, l’indennità di disoccupazione o Naspi è una prestazione di sostegno economico per chi ha perso il lavoro e, conseguentemente, il reddito. Ci sono ben precise regole che ne definiscono funzionamento e versamento agli aventi diritto e, ora, grazie al messaggio Inps n. 2425 del 1° agosto, è stata fatta piena chiarezza anche su un particolare caso pratico, che può riguardare aziende e lavoratori.

Ci riferiamo alla cosiddetta riclassificazione Ateco, tramite provvedimento d’ufficio dello stesso istituto, dell’attività economica svolta da un’impresa, a seguito della quale le domande per le indennità in oggetto siano risultate indebite.

L’istituto ha spiegato che i lavoratori conservano il diritto a incassare le relative somme. Conseguentemente la riclassificazione non ha effetti penalizzanti su di loro.

Cambia l’Ateco, salvo il diritto alla Naspi

Con questo messaggio, l’Inps spiega come gestire le domande di Naspi a seguito dell’azione amministrativa dell’ente previdenziale, che determina d’ufficio la citata riclassificazione dei codici Ateco e il conseguente cambio di iscrizione dei lavoratori.

Ci riferiamo tipicamente al passaggio dalla gestione contributiva agricola (braccianti, operai agricoli, coltivatori diretti) alla gestione aziende dipendenti non agricoli (industrie, commercio, servizi) e viceversa.

Questo avviene perché Inps può effettuare controlli sull’attività economica realmente svolta da un’impresa e, se ritiene che ci sia un errore nella classificazione originaria (per esempio se l’attività non è davvero agricola come dichiarato), può modificare d’ufficio l’attività.

L’istituto rimarca che le riclassificazioni determinano la modifica dell’inquadramento contributivo, ma il punto chiave del messaggio n. 2425 è che i lavoratori e le lavoratrici del datore riclassificato non subiscono, “a cascata”, conseguenze negative da detto cambio.

Sul punto, la prospettiva di Inps ribadisce l’orientamento costante del Ministero del Lavoro. Perciò, se è vero che a causa degli errori (inesatte dichiarazioni potenzialmente mirate a eludere il corretto inquadramento previdenziale e quindi a versare meno soldi all’Inps) commessi dalle aziende o datori l’inquadramento contributivo viene cambiato d’ufficio, è altrettanto vero che il diritto a incassare la Naspi è “cristallizzato” e pur sempre salvo (tranne in caso di dolo).

Nessuna efficacia retroattiva sull’art. 38 Costituzione

Sul piano dell’indennità di disoccupazione, il provvedimento di cambio – adottato d’ufficio da Inps – non ha alcuna efficacia retroattiva. L’istituto infatti sottolinea che:

Il lavoratore, estraneo a tale procedimento amministrativo, non può subire effetti pregiudizievoli derivanti da condotte imputabili esclusivamente al datore di lavoro e a lui non note.

Se così non fosse, i dipendenti beneficiari dell’indennità di disoccupazione rischierebbero di essere ingiustamente penalizzati dalla citata retroattività della modifica.

Si paleserebbe, insomma, una violazione dell’art. 38, comma 2, della Costituzione, il quale espressamente dispone che:

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Nessun obbligo di restituzione dell’indennità di disoccupazione

Non solo. Modificando quanto indicato nella circolare Inps n. 56 del 23 aprile 2020, e a ulteriore chiarimento del meccanismo di garanzia, l’Inps precisa che, nei casi di riclassificazione del datore di lavoro da agricolo a non agricolo, i lavoratori interessati:

se impossibilitati, per scadenza dei termini, a presentare la domanda di disoccupazione per il settore non agricolo, non sono tenuti a restituire il trattamento già percepito a titolo di indennità di disoccupazione agricola.

Analogo meccanismo vale nel caso opposto della riclassificazione del datore da non agricolo ad agricolo, qualora i termini per la presentazione delle domande di Naspi (che oggi ha un nuovo requisito) per il settore agricolo, siano già scaduti.

Coerentemente, l’eventuale indebito conseguente al riesame delle domande fatte prima della notifica del provvedimento di riclassificazione del rapporto di lavoro, non dovrà essere notificato ai lavoratori interessati.

Cosa succede se i termini non sono scaduti

Si applicano, invece, le indicazioni date con la circolare Inps 56/2020 qualora, alla data di notifica del provvedimento di riclassificazione Ateco dell’attività, non siano ancora decorsi i termini per fare domanda di Naspi per il nuovo settore di appartenenza, così come corretto d’ufficio.

In particolare, Inps spiega che in questi casi:

Al lavoratore che ne faccia domanda può essere riconosciuta la nuova prestazione (di Naspi o di disoccupazione agricola) con compensazione di quanto già eventualmente corrisposto in relazione all’ultima indennità di disoccupazione erogata con riferimento all’inquadramento errato.

Chiarimenti sul meccanismo di compensazione

La compensazione potrà essere compiuta al massimo a capienza dei nuovi importi con abbandono dell’eventuale residuo debito. In sostanza, se il dipendente ha già ricevuto una Naspi calcolata sulla base di un inquadramento errato, e in seguito ottiene una nuova prestazione corretta, Inps può compensare quanto già versato con i nuovi importi da erogare.

Ma con un limite importante, perché la compensazione potrà avvenire solo “a capienza”, cioè fino all’importo della nuova indennità. E se il debito residuo (quello ricevuto per errore) è superiore alla nuova indennità, Inps non potrà chiedere al lavoratore di riconsegnare l’eccedenza. In breve, l’eventuale differenza in debito sarà “abbandonata”, cioè non sarà più reclamata dall’istituto.

Ricordiamo, infine, che la riclassificazione d’ufficio dell’attività economica può essere dovuta sia a un errore formale o oggettivo sia a una strategia elusiva da parte del datore per risparmiare sui contributi. Questi ultimi, ormai arretrati, dovranno essere versati in base alla nuova gestione e l’azienda si esporrà a possibili conseguenze sanzionatorie.