Le competenze sul lavoro che l’IA non sostituirà mai: ecco cosa cercano le aziende

Una recente indagine Randstad indica che la richiesta delle soft skills, da parte delle aziende, è in sensibile crescita. A cosa servono e perché l'IA non potrà sostituirle

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Se l’intelligenza artificiale rappresenta oggi una grande incognita per il futuro, e la ‘sopravvivenza’ di non poche professioni, non dobbiamo però dimenticare che esistono competenze e abilità non sostituibili dalla tecnologia. Un sondaggio recentemente effettuato da Randstad Research e Fondazione per la Sussidiarietà ha considerato un’amplissima varietà di offerte di lavoro ed è giunto alla conclusione per cui, nella generalità delle aree professionali, è oggi in crescita la domanda delle soft skills da parte delle aziende.

Con questa espressione anglosassone ci si riferisce alle competenze trasversali e innate, che non possono essere rimpiazzate da una fredda intelligenza artificiale e che – al pari delle competenze tecniche e professionali –  sono assai utili per la produttività e il successo aziendale.

Vediamo insieme alcuni interessanti numeri dell’indagine di Randstad e indichiamo altresì tre esempi pratici o casi aziendali, che spiegano nitidamente come l’IA – in futuro – non potrà sempre sostituire con efficacia il ‘capitale umano’.

Il sondaggio Randstad sulle soft skills

L’indagine Randstad ‘Nuovi modelli per il lavoro: cresce la domanda di significato e di sviluppo professionale’ è stata presentata al Meeting per l’amicizia fra i popoli, a Rimini, ed è interessante sostanzialmente perché:

  • esamina ben 5,4 milioni di annunci di aziende, pubblicati in Italia e tra il 2019 e il 2023;
  • indica come le soft skills costituiscano oggi tra il 34% e il 58% delle competenze richieste nelle offerte di lavoro.

Nell’indagine della multinazionale Randstad si può leggere che la domanda di competenze cambia assai rapidamente e:

pur se le competenze professionali (quelle legate strettamente alla specificità della professione) sono percentualmente quasi sempre prevalenti, ciò che emerge dai dati della domanda delle aziende è l’importanza sempre più marcata delle competenze digitali e soprattutto trasversali (soft o non cognitive skill).

Per le diverse aree professionali, nell’indagine le skill traversali o soft sono suddivise in quattro categorie: abilità cognitive, abilità interpersonali, atteggiamenti professionali e abilità sociali e – per quasi tutti i gruppi professionali ad esclusione degli artigiani e operai specializzati e conduttori di impianti e macchinari:

l’unione di skill digitali e trasversali genera una prevalenza di queste skill rispetto a quelle professionali.

Il sondaggio evidenzia altresì che le skills digitali sono più significative, come intuibile, per le professioni intellettuali e scientifiche e le professioni tecniche, mentre le skills trasversali hanno un notevole impatto a livello generale. Infatti nell’interessante indagine si può leggere che tali competenze sono:

decisamente significative per tutti i gruppi professionali con valori tra il 34 ed il 50 % per le professioni di alto e medio livello di skill […], si attestano tra il 24 e il 26% per artigiani e operai specializzati e conduttori di impianti e macchinari per poi salire al 58% per le professioni non qualificate.

Competenze trasversali e sociali, il fattore chiave per una carriera di successo

Dati alla mano, l’indagine Randstad evidenzia che, anche in Italia, le competenze ‘sociali’ sono assai gradite alle imprese. Non solo il know-how, quindi, ma anche e soprattutto il modo con cui una persona si relaziona ai colleghi e tende ad un obiettivo comune, è in grado di fare sempre più la differenza e assicurare un posto di lavoro stabile, buone possibilità di carriera e di aumento di stipendio.

Nel sondaggio la risposta chiara e sintetica alla domanda sul perché della crescente importanza delle soft skills:

Le tecnologie dell’informazione (in particolare i computer) non hanno la capacità di sostituirsi alle relazioni umane, che sono spesso frutto di un processo inconscio, e si sono evolute in migliaia di anni. Le interazioni sono flessibili, non routinarie, e questo fa la differenza tra gli umani e le macchine, differenza che trova conferma anche alla luce delle trasformazioni introdotte dall’intelligenza artificiale.

Non c’è una unica definizione di ‘soft skills’. Esse, come accennato, sono capacità naturali, relazionali e comportamentali, che caratterizzano il come ci si pone nell’ambiente di lavoro. Qualità come creatività, leadership, fiducia in se stessi, proattività, resistenza allo stress, capacità di problem solving sono tuttora determinanti per emergere sia in fase di selezione, sia durante la routine giornaliera in ufficio.

Inoltre sono denominate ‘soft’ per separarle dalle “hard skills”, ovvero le competenze tecniche e professionali, che si apprendono e perfezionano all’università, negli stage e durante le esperienze di lavoro.

Confermata la tesi di un economista di Harvard sulla teoria della mente

Quanto emerso dall’indagine in oggetto evidenzia inoltre quanto diversi studiosi hanno già mostrato. In particolare David Deming, un economista dell’università di Harvard che si occupa di sviluppo delle competenze e delle conseguenze sulle possibilità di carriera e sulle disuguaglianze, ha iniziato a interessarsi del fatto che – da una parte – la domanda di lavoro dà oggi sempre maggiore importanza alle soft skills, mentre dall’altra la richiesta di professioni che implicano alte competenze tecniche è aumentata – ma in misura meno considerevole.

Come si può leggere nell’indagine Randstad:

Nella sua ricerca, Deming ha trovato che era aumentata la domanda di professioni che richiedono competenze relazionali e sociali, parte rilevante delle non cognitive skill. Tali competenze non possono essere sostituite dai computer.

Infatti le interazioni umane impongono una capacità che gli psicologi definiscono teoria della mente, ossia la capacità di attribuire agli altri modi di pensare basandosi sul loro comportamento, o come si dice di “mettersi nei panni degli altri”. Si tratta delle conclusioni a cui è giunto l’accademico Deming e che escluderebbero l’intelligenza artificiale dal ruolo di sostituto delle soft skills. Non solo. La tesi di Deming è che i lavoratori con maggiori competenze sociali (empatia, leadership ecc.) potranno specializzarsi e cambiare lavoro (compiere mansioni differenti) in modo più efficiente e con maggior velocità di adattamento, a tutto vantaggio del CV, dello stipendio e del tenore di vita.

Vediamo ora tre esempi concreti, o casi aziendali, che dimostrano come le soft skills e le abilità ‘umane’ non potranno, neanche in futuro, essere sostituite dalla tecnologia e dall’IA (recentemente al centro di un caso riguardante l’algoritmo di Just Eat, i rider e i criteri di valutazione delle prestazioni).

Gestione di una crisi aziendale

Ci riferiamo alla situazione – non infrequente – in cui una multinazionale deve fronteggiare una crisi di reputazione e immagine per un incidente, nel quale un prodotto difettoso ha provocato danni ai consumatori. Si tratta di circostanze in cui tempestività, lucidità e freddezza sono indispensabili e in cui un affiatato e collaborativo team di comunicazione aziendale sarà in grado di gestire il problema, con la strategia più opportuna.

Ecco di seguito le soft skills più utili:

  • comunicazione interpersonale, in quanto il responsabile PR dovrà emettere dichiarazioni pubbliche, rispondere alle domande dei media e comunicare con chiarezza ai clienti. Sono situazioni nelle quali il tono, l’empatia e la capacità di inviare messaggi efficaci saranno determinanti per la stabilità dell’azienda;
  • leadership, il leader del team dovrà infatti condurre il personale attraverso la crisi, conservando self control, ispirando fiducia e coordinando le azioni di distinti reparti;
  • pensiero critico, utile ad analizzare velocemente la situazione, considerare tutte le implicazioni legali, etiche e di immagine, e decidere in modo strategico per attenuare i danni.

In una situazione così, l’intelligenza artificiale non potrà sostituire efficacemente le soft skills perché, pur essendo capace di dare risposte standard o analizzare dati, la gestione di una complessa crisi impone sempre un giudizio contestuale, un adattamento in tempo reale e una efficace e condivisa comunicazione umana, che l’IA non potrà mai replicare.

Consulenza psicologica per dipendenti

Pensiamo a quelle circostanze in cui un’azienda sta affrontando elevati livelli di stress tra i dipendenti (con concreto rischio di burnout) a causa di cambiamenti organizzativi, come ad es. un processo di ristrutturazione, l’adozione di nuove tecnologie o un cambiamento di leadership.

In tali eventualità un consulente psicologico aziendale sarà la figura professionale con il compito di aiutare il personale a gestire l’affaticamento e accrescere il benessere generale.

Di seguito le soft skills più efficaci:

  • empatia, il consulente dovrà ascoltare e capire le preoccupazioni individuali dei lavoratori, favorendo un ambiente di fiducia e sostegno;
  • comunicazione interpersonale, tramite consigli e feedback a supporto dei dipendenti;
  • etica e giudizio morale, in quanto il professionista dovrà gestire informazioni sensibili con discrezione e decidere per il benessere mentale ed emotivo del personale.

Anche in tali circostanze l’apporto dell’intelligenza artificiale non potrà bastare a sostituire il capitale umano e le soft skills. Infatti, anche se l’IA può fornire strumenti di auto-aiuto o valutare il benessere dei lavoratori tramite dati, la profondità del sostegno psicologico, l’abilità di creare connessioni umane e l’etica doverosa nel ruolo di consulente psicologico non potranno mai essere replicati dalla tecnologia.

Negoziazione di un contratto complesso

Infine un caso emblematico è anche quello della trattativa per la firma di un contratto multimilionario, che coinvolge ad es. un’azienda della tecnologia e un suo partner strategico internazionale. In circostanze come queste rilevano una molteplicità di aspetti tecnici, finanziari, legali, organizzativi e non solo.

Ecco perché tra le indispensabili soft skills troviamo sicuramente le seguenti:

  • negoziazione, in quanto il negoziatore dovrà bilanciare gli interessi di ambo le parti, trovando un compromesso vantaggioso e portando avanti le relazioni di negoziazione con tatto, equilibrio e diplomazia;
  • abilità di adattamento, visto che – durante la negoziazione – potrebbero verificarsi imprevisti o richieste dell’ultimo minuto che imporranno una veloce rielaborazione delle strategie per arrivare alle firme;
  • empatia, perché il saper cogliere le motivazioni e le preoccupazioni della controparte potrà supportare nel trovare punti comuni e facilitare un accordo conveniente ad ambo le parti.

Anche in questo caso l’apporto dell’IA sarebbe comunque molto limitato. Infatti se è vero che l’intelligenza artificiale può analizzare dati e simulare scenari, è altrettanto vero che la complessità e l’intuizione necessarie per tenere sotto controllo e gestire dinamiche interpersonali, negoziare clausole e accordi, e rispondere a cambiamenti in modo tempestivo, richiederanno pur sempre l’intervento umano e le soft skills.