Fallisce il colosso del coworking che prometteva la rivoluzione

WeWork è fallita: l'azienda leader nel coworking non ha retto agli strascichi della pandemia che hanno cambiato il modo di lavorare

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 7 Novembre 2023 21:00

Il colosso del coworking messo in ginocchio dallo smart working. È in bancarotta WeWork, azienda a stelle e strisce a lungo leader nel settore degli spazi condivisi per il lavoro. Nel 2019 WeWork aveva conquistato Manatthan, diventando la realtà aziendale col maggior numero di uffici, e aveva stregato Wall Street e la Silicon Valley. La sua ricetta di lavoro condiviso era la promessa di un nuovo modo di lavorare a livello globale.

Il fallimento di WeWork in Usa

La bordata, devastante, ai conti è arrivata con la pandemia che ha costretto milioni di persone a lavorare da casa. E nel post pandemia in centinaia di migliaia hanno continuato a mantenere la nuova abitudine, rendendo di fatto superato l’utilizzo del coworking.

Se un gran numero di aziende hanno richiamato i lavoratori in azienda alla fine della pandemia, lo smart working ha continuato ad essere attrattivo per tutte quelle realtà piccole e medie che hanno visto nel lavoro da casa una risorsa per risparmiare sulle location, in affitto o in proprietà. Tre, dunque, i motivi del tracollo: perdite finanziarie, fabbisogno di liquidità e calo del numero degli spazi in affitto. Tre flagelli che hanno portato l’azienda a perdere miliardi nel primo semestre del 2023.

WeWork dalle stelle alle stalle

Al 30 giugno 2023 il portafoglio immobiliare di WeWork comprendeva 777 sedi in 39 paesi. Nel mese precedente alla bancarotta il colosso del coworking era finito sui giornali per una serie di debiti non saldati. Ora arriva la notizia del fallimento. WeWork ha annunciato che la misura andrà a coinvolgere le attività negli Stati Uniti e in Canada, mentre prevede “che quelle globali continueranno come al solito”.

“Ora è il momento per noi di portare avanti il futuro affrontando in modo aggressivo i nostri contratti di locazione preesistenti e migliorando notevolmente il nostro bilancio”, ha affermato in una nota l’amministratore delegato David Tolley. “Abbiamo definito una nuova categoria di lavoro e questi passi ci consentiranno di rimanere leader globali nel lavoro flessibile”. Traduzione: si va avanti, cercando di tagliare dove è possibile ed eventualmente di rinegoziare il debito.

All’inizio di agosto WeWork aveva mandato un messaggio alla Sec (l’autorità di regolamentazione del mercato azionario statunitense) annunciando l’esistenza di “dubbi sostanziali sulla capacità dell’azienda di continuare a operare”.

Oltre alle difficoltà economiche la strada del fallimento è stata scelta anche perché si tratta di un asso nella manica, concesso dalla legge americana, al fine di liberarsi di contratti di affitto gravosi e difficilmente annullabili o rinegoziabili.

Non solo WeWork: anche altre aziende attive nell’ambito degli spazi di lavoro condivisi hanno affrontato difficoltà, come Knotel e la svizzera IWG Plc.

Adam Neumann, co-fondatore ed ex Ceo di WeWork dimessosi nel 2019, ha dichiarato di trovare “deludente” la notizia dell’imminente fallimento: “È stato difficile per me guardare da spettatore dal 2019 mentre WeWork non è riuscita a sfruttare un prodotto più rilevante oggi che mai”, ha detto in un comunicato stampa. “Credo che, con la giusta strategia e il giusto team, una ristrutturazione consentirà a WeWork di emergere con successo”.

All’apice del suo successo l’azienda era valutata 47 miliardi di dollari. La fase discendente è iniziata nel 2019, anche a causa della mancata quotazione in borsa.

Quale futuro per WeWork

Ma per WeWork potrebbe non essere ancora calato il sipario: la legislazione fallimentare Usa consente alle aziende di liberarsi di parte del debito e di ristrutturarsi. WeWork potrebbe seguire, ad esempio, i passi di Regus: l’azienda ha dichiarato fallimento 20 anni fa e dopo la ristrutturazione è tornata a operare con successo.