Smartphone per rilevare la presenza al lavoro? Cosa dice la Cassazione

Una sentenza di tribunale ha fatto luce su un caso di asserita violazione della privacy di una dipendente. Limiti e potenzialità degli smartphone sostitutivi della timbratura

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 3 Novembre 2024 18:00

I confini tra esercizio del potere datoriale e diritto alla privacy del personale non sempre sono chiarissimi. Proprio per questo non mancano controversie e dispute giudiziarie che vedono contrapposte le parti del contratto di lavoro, ciascuna rivendicante in tribunale la bontà delle proprie valutazioni.

Vero è che specialmente negli ultimi anni la tecnologia è stata ed è di grandissimo aiuto alle aziende, per semplificare gli step burocratici e favorire buona organizzazione e produttività negli uffici, ma attenzione agli inconvenienti. Recentemente il tribunale di Trento si è pronunciato su una vicenda riguardante la rilevazione degli orari di lavoro tramite smartphone – e non con il metodo tradizionale e analogico – e il conseguente rifiuto di una lavoratrice, timorosa che la novità potesse ledere il suo diritto alla riservatezza dei dati personali.

Vediamo insieme il caso giudiziario in sintesi e scopriamo perché il giudice trentino, con la sentenza n. 423 di quest’anno, ha dichiarato la legittimità del rilevamento presenze tramite smartphone e del licenziamento disciplinare inflitto alla donna.

La vicenda

L’azienda citata in giudizio aveva introdotto una tecnologia di rilevazione delle presenze basata su badge elettronici e smartphone. Non si tratta di una novità assoluta, posto che sempre più aziende stanno oggi sostituendo i classici sistemi di marcatempo con soluzioni digitali e al passo con i tempi.

Proprio un’applicazione installata negli smartphone aziendali ha consentito di registrare con precisione gli orari di ingresso e uscita dei lavoratori, sfruttando un sistema con badge NFC per il trasferimento wireless dei dati tra dispositivi compatibili – al posto del classico timbratore fisico.

In particolare, il sistema introdotto dal datore di lavoro prevedeva l’installazione – nello spazio del cantiere – di due diversi smartphone, su cui era stata preimpostata un’applicazione ad hoc per la gestione delle presenze. I dipendenti dovevano solo avvicinare il loro badge, dotato di un tag NFC, ai due smartphone messi a disposizione dal datore di lavoro, per registrare l’orario di ingresso e quello di uscita dal luogo di lavoro.

Ebbene, una lavoratrice ha evidenziato in giudizio i suoi timori in merito alla tutela della privacy e al trattamento dei dati personali, affermando che il nuovo metodo di rilevazione presenze fosse invasivo e non conforme al Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR). In opposizione alla nuova policy aziendale, la donna ha così continuato ad annotare a mano i suoi turni di lavoro, evitando di utilizzare il dispositivo aziendale per timbrare l’orario di lavoro in entrata e uscita.

Tale comportamento ha indispettito l’azienda, tanto da condurla alla decisione per il licenziamento disciplinare, contro cui la lavoratrice si è rivolta alla magistratura.

La sentenza

In primo grado il giudice competente presso il tribunale di Trento, dopo attenta valutazione dei fatti, delle norme e degli elementi emersi in corso di causa, ha stabilito che il licenziamento della dipendente è stata una scelta corretta.

Nel testo della sentenza il magistrato ha infatti rimarcato che:

  • il no all’uso dello smartphone aziendale per la rilevazione presenze non costituiva una modalità di autotutela valida, alla luce delle norme di legge vigenti;
  • nel rispetto delle regole di cui al regolamento GDPR, l’utilizzo di mezzi tecnologici quali lo smartphone e le app installate per il monitoraggio di chi entra ed esce dagli uffici, è fondato sulla volontà datoriale di aver contezza dell’effettivo rispetto degli obblighi contrattuali, da parte del personale;
  • il sistema tecnologico consente dati e informazioni più precise e oggettive rispetto ai metodi analogici di rilevazione, rappresentando quindi una opportuna modalità di rilevazione delle presenze in ufficio.

Secondo il tribunale di Trento, quindi, un lavoratore o una lavoratrice non debbono temere riflessi sulla sfera della privacy, perché – se correttamente implementati nella struttura aziendale – tali strumenti tecnologici aderiscono perfettamente ai dettami del regolamento UE sulla protezione dei dati.

Non solo. L’azienda in oggetto aveva reso nota e discusso la novità per la rilevazione delle presenze con le rappresentanze sindacali e i lavoratori, dando loro tutte le informazioni necessarie e la possibilità di monitorare le timbrature attraverso il responsabile del cantiere.

Perciò, alla luce delle risultanze processuali, il giudice di primo grado ha confermato la giustezza della scelta del licenziamento disciplinare della donna che, deliberatamente, aveva scelto di rifiutare la nuova prassi aziendale, sottoponendosi all’inevitabile ‘ritorsione’ del datore di lavoro.

La timbratura digitale protegge i dati

Uno degli aspetti più interessanti di questa sentenza riguarda proprio la tutela dei dati personali. Infatti il magistrato ha rimarcato che il sistema digitale – per sua natura – assicura una maggiore sicurezza rispetto ai fogli presenze cartacei, visto che questi ultimi potrebbero essere conservati in spazi accessibili a terzi e senza specifiche misure di protezione.

La timbratura digitale, invece, è caratterizzata da un livello di protezione più alto e una oggettiva precisione. Inoltre, sebbene i dispositivi utilizzati per la timbratura possano trovarsi in un ambiente pubblico, il sistema informatico è in grado di bloccare l’accesso non autorizzato ai dati personali. Ecco perché eventuali contestazioni come quelle della dipendente, risulterebbero prive di fondamento.

Che cosa cambia

Vero è che il tema della rilevazione presenze continua a essere fonte di discussione e dubbi, in particolare per quanto attiene alla registrazione dei dati. Ma d’altra parte il controllo degli orari dei lavoratori è un aspetto essenziale per assicurare l’efficienza operativa e il rispetto delle leggi sul lavoro.

A seguito di questa sentenza, il panorama giurisprudenziale si arricchisce di indicazioni favorevoli alle aziende e ai datori di lavoro che intendono rendere i processi di gestione dei dipendenti pienamente al passo con i tempi. Come accennato sopra, usare smartphone con app installate per il controllo delle presenze, consente di sfruttare vari vantaggi, come ad es. l’azzeramento di possibili errori e imprecisioni, il risparmio dei costi e il contributo a una maggiore trasparenza ed efficienza operativa dell’azienda nel suo complesso.

D’altronde i vecchi timbratori analogici sono sempre più obsoleti, in un mondo del lavoro in cui le aziende hanno l’esigenza di avere report dettagliati e immediati. I moderni sistemi permettono di monitorare le presenze in tempo reale e di creare file pronti per l’esportazione e la condivisione con il consulente del lavoro, a garantire una maggiore tracciabilità.

Concludendo, in una società destinata a essere sempre più tecnologica e sempre più integrata dalle potenzialità dell’intelligenza artificiale, l’adozione di tecnologie avanzate per il monitoraggio degli orari di lavoro non potrà che aumentare nei prossimi anni. Per necessità organizzative le aziende potranno certamente servirsi di smartphone aziendali e app ad hoc per rilevare l’effettivo rispetto degli orari di lavoro, ma attenzione: al contempo varrà pur sempre l’obbligo di assicurarsi che tali sistemi di controllo siano conformi alle normative vigenti in tema di privacy e trattamento dei dati personali.