La Corte di Cassazione con l’ordinanza 23318/2024 specifica che il licenziamento è legittimo qualora il dipendente di una banca, o di un istituto affine, abbia messo in atto condotte gravi e contrarie ai propri obblighi anche qualora esse non abbiano causato un danno alla clientela o al datore di lavoro.
Le sentenze precedenti
Nel redigere tale ordinanza, la sezione lavoro della Cassazione si è rifatta a una precedente pronuncia (9576/2001), secondo la quale il comportamento scorretto del dipendente di una banca, a prescindere dal verificarsi di un effettivo danno di natura patrimoniale, può comunque “ledere l’affidamento che non solo il datore di lavoro ma anche il pubblico devono riporre nella lealtà e correttezza del personale degli istituti di credito”.
Nella recente sentenza si richiama inoltre un’ulteriore pronuncia (6901/2016), secondo la quale “indipendentemente dal conseguimento di un utile personale”, il comportamento di un dipendente bancario “posto in essere in violazione delle procedure interne, dei diritti dei correntisti e dello specifico interesse datoriale al mantenimento di una affidabile e trasparente organizzazione del lavoro” è “idoneo a compromettere irrimediabilmente l’elemento fiduciario sotteso al rapporto di lavoro”.
Il caso
Il caso in oggetto riguarda un direttore di filiale bancaria che era stato licenziato nel 2017 per avere assegnato, per motivi di budget, una carta di credito non richiesta a una cliente molto anziana.
La banca, Monte Paschi di Siena, aveva licenziato il dipendente che aveva portato il caso in tribunale in primo e in secondo grado. La Corte di appello di Catanzaro aveva stabilito la reintegra del direttore di banca, dal momento che la condotta risultava “del tutto scevra di offensività e, come tale, priva di rilievo disciplinare”.
La sentenza della Cassazione
Nel valutare i fatti la Cassazione ha ritenuto che il giudice di merito abbia trascurato di considerare l’indirizzo consolidato secondo il quale, in tema di licenziamento disciplinare, è irrilevante, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, l’assenza o la speciale tenuità del danno subito dal datore di lavoro.
Si tratta infatti di elementi da soli “affatto sufficienti ad escludere la lesione del vincolo fiduciario, perché ciò che rileva è la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti”.
Per la Cassazione, i giudici di merito hanno invece posto in essere un ragionamento basato unicamente sulle conseguenze, che può essere sintetizzato in questi termini: sebbene sia stato contrario ai propri doveri, il comportamento del direttore di filiale non ha cagionato un danno alla cliente né al datore di lavoro e dunque il licenziamento è stato illegittimo. La Cassazione invece ha ritenuto di ribaltare tale ragionamento, sostenendo che la condotta che può mettere in dubbio la futura correttezza del dipendente è sufficiente per giustificare una sanzione disciplinare, incluso il licenziamento.
I supremi giudici hanno ribadito inoltre che, quando vengono contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice di merito deve valutarli nel loro complesso relativamente alla loro incidenza sul rapporto di lavoro.