Ai fini del profitto dell’azienda non è tanto la quantità del lavoro a fare la differenza, ma la qualità. Produttività, performance e lavoro di squadra sono elementi chiave per il successo e – proprio su questi elementi – appare fondata una nuova proposta di legge avente ad oggetto la progressiva riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore a settimana, conservando lo stesso stipendio.
Di seguito ne parleremo e, in attesa dell’arrivo del testo unico in Aula, cercheremo di capire se la proposta ha davvero le basi per funzionare e applicarsi in modo proficuo alle varie realtà imprenditoriali del nostro paese.
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Orario di lavoro ridotto a parità di retribuzione, l’iniziativa
Contro i possibili rischi di burnout e a favore di un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata, alcuni partiti dell’opposizione hanno presentato un testo che, come accennato, prevede il taglio di alcune ore di lavoro settimanali – anche con turni distribuiti su 4 giorni invece che 5 – insieme a investimenti in formazione e innovazione tecnologica e ambientale. Si passerebbe a 32 ore invece che le ordinarie 40 dell’orario normale di lavoro.
A finanziare il progetto il Fondo Riduzione dell’orario di lavoro e Nuove forme di prestazione lavorativa, per cui si prevede un incremento della dotazione di 50 milioni di euro per l’anno in corso e di 275 milioni di euro per ognuno degli anni 2025 e 2026.
L’iniziativa, racchiusa nell’ambito di un testo unico adottato dalla commissione lavoro della Camera, mira in particolare a sollecitare la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali tra le imprese, le loro rappresentanze e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che individuino nuovi modelli organizzativi.
Non dimentichiamo che, come previsto dal d. lgs. n. 66 del 2003, i contratti collettivi possono stabilire una durata minore dell’orario e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno.
Contrattazione di prossimità e divieto di clausole compensative
In ipotesi di assenza di disposizioni specifiche nella contrattazione nazionale, sarà possibile il coinvolgimento della contrattazione di prossimità. In che modo? Nell’ambito di quest’ultima sarà possibile presentare all’azienda una proposta di contratto per la riduzione dell’orario di lavoro, a parità di retribuzione, da far conoscere a tutto il personale dipendente dell’impresa o dell’unità produttiva mediante comunicazione aziendale. Previsto anche un referendum dei dipendenti, avente ad oggetto i contenuti della citata proposta.
Il testo in oggetto inoltre dispone che non possono essere previste clausole compensative della riduzione dell’orario di lavoro, attraverso l’ampliamento dell’orario di lavoro straordinario.
Agevolazioni per le aziende
Non solo. A supporto dei datori di lavoro privati che sottoscriveranno tali contratti (escluso il settore agricolo e domestico) e che quindi daranno spazio alla rimodulazione dell’orario di lavoro, per i tre anni posteriori all’entrata in vigore della legge verrebbe previsto un parziale esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, proporzionale all’orario di lavoro e fino al 30% – ad esclusione dei premi e i contributi correlati all’Inail. Maggiore l’esonero per le Pmi, essendo pari al 50%, mentre per i lavori usuranti e gravosi, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali toccherebbe il 60%.
Come detto sopra, per sostenere tali detrazioni lo Stato stanzierebbe circa 600 milioni di euro per il triennio 2024-2026. Dopo, salvo nuove iniziative, gli incentivi terminerebbero.
Il ruolo dell’Osservatorio nazionale sull’orario di lavoro
Se venisse adottata, la legge in oggetto non introdurrebbe immediatamente l’obbligo di riduzione della settimana lavorativa, ma alla base c’è la sollecitazione delle aziende a farlo. Il passo successivo ci sarebbe dopo tre anni dall’entrata in vigore: il Governo dovrebbe adottare un Dpcm ad hoc, per ridurre ufficialmente l’orario di lavoro a 32 ore settimanali.
Ecco perché, nel quadro della proposta di legge, tra le innovazioni c’è anche l’istituzione presso l’Inapp dell’Osservatorio nazionale sull’orario di lavoro. La struttura avrà compiti di vigilanza e dovrà redigere una relazione annuale da far pervenire alle Camere entro il 31 dicembre di ogni anno.
Più nel dettaglio – al termine dei 36 mesi di ‘sperimentazione’ con incentivi finanziati dallo Stato – sulla scorta delle risultanze delle analisi e delle proposte dell’Osservatorio, e con anteriore parere delle Commissioni parlamentari competenti, sarà redatto il citato Dpcm allo scopo di rideterminare in misura minore la durata dell’orario di lavoro normale (oggi pari a 40 ore settimanali), non inferiore al 10% nei settori in cui i contratti abbiano riguardato almeno il 20% dei dipendenti.
Considerata la modifica sostanziale ai rapporti di lavoro, ben si comprende che la proposta di legge preveda anzitutto un periodo triennale di transizione, in cui l’attività dell’Osservatorio si rivelerà determinante per il buon esito dell’iniziativa. Quest’ultima mira infatti ad una riduzione strutturale dell’orario settimanale di lavoro, e non meramente localizzata in un triennio.
Che cosa cambia
Finora abbiamo visto le caratteristiche chiave di una proposta di legge sulla riduzione dell’orario di lavoro, che appare fondata su quanto indicato ad inizio del relativo testo: aumento della qualità del lavoro e della produttività, tassi di occupazione più elevati, riduzione dello stress e dei rischi di burnout, maggior tempo e energie per la vita privata sono alcuni dei fattori chiave per il successo dell’iniziativa, o almeno questo è quanto sostengono i suoi promotori. Senza dimenticare l’aspetto della riduzione dell’impatto ambientale del lavoro, oggi molto sentito specialmente dalle giovani generazioni.
Dopo la fase di presentazione degli emendamenti (con il rischio che quelli soppressivi della maggioranza affossino di fatto la proposta), il testo unico dovrebbe arrivare in Aula già il 21 ottobre salvo differimenti dell’ultima ora. Infatti non è improbabile che la maggioranza faccia slittare la discussione all’inizio del prossimo anno, dopo i lavori sulla manovra di bilancio che, come è noto, deve essere approvata entro fine 2024 per evitare il temuto esercizio provvisorio.