Stop alla decontribuzione, le aziende del Sud lanciano l’allarme: “Dipendenti all’estero”

Si alza la voce delle Pmi e non solo: lo stop agli aiuti del governo al Sud dal 2025 mette in pericolo numerose realtà imprenditoriali: ecco la prospettiva allarmante

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Pubblicato: 19 Dicembre 2024 13:39

A fine 2024 le imprese del Centro Sud dovranno fare i conti con la scadenza del termine degli sgravi sul costo del lavoro. Si solleva però la protesta a tutela di tale misura. Senza la decontribuzione, infatti, gli scenari saranno allarmanti. Non sono mancate le rassicurazioni da parte del governo ma, nel frattempo, si solleva la voce delle Pmi.

Stop alla decontribuzione

Come detto, rassicurazioni sulla misura cruciale per il Centro Sud sono giunte da parte di Confindustria e del governo di Giorgia Meloni. In merito alla decontribuzione si è anche espressa in tempi recenti la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone.

Esiste un emendamento alla Manovra 2025 per la conferma a supporto delle piccole e medie imprese. Le preoccupazioni però sono ancora vive e i toni si alzano, soprattutto per quanto riguarda le realtà più grandi.

Il presidente di Confindustria Basilicata, Francesco Somma, si è così espresso in merito: “Il Mezzogiorno non dev’essere paralizzato e rallentato con la cancellazione di una misura di sostegno che ha dato dei buoni risultati. Per la Basilicata è quantomai importante poter essere attrattiva di investimenti anche di grandi imprese, considerando la grave crisi dell’auto e la ricerca di piani di riconversione”.

Manovra 2025, l’emendamento per le Pmi

L’emendamento in questione, che dovrebbe rassicurare le Pmi, prevede l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, con alcune eccezioni. L’intento è quello di tutelare i livelli di crescita occupazionali al Centro Sud, riducendo il divario territoriale con le aree settentrionali.

Da questa analisi, però, risulta escluso interamente il settore agricolo. Al tempo stesso, inoltre, non tutti i contributi previdenziali saranno cancellati. Permangono infatti premi e contributi dovuti all’Inail. Il tutto a garanzia limitata delle micro, piccole e medie imprese che occupano lavoratori a tempo indeterminati nelle seguenti Regioni:

  • Abruzzo;
  • Molise;
  • Campania;
  • Basilicata;
  • Sicilia;
  • Puglia;
  • Calabria;
  • Sardegna.

Le grandi imprese

Garanzie per le piccole e medie realtà imprenditoriali, dunque, ma cosa accade alle grandi imprese? Si parla di aziende con più di 250 dipendenti, per le quali occorre un eventuale semaforo verde da Bruxelles. Senza l’approvazione dell’Unione europea, infatti, non è possibile agire in funzione di una nuova misura di decontribuzione.

Il presidente dell’Unione industriali di Napoli, Costanzo Jannotti Pecci, ha spiegato come le parole del ministro Fitto siano state poco chiare: “Ha annunciato che la misura non è rinnovabile, in quanto si configura come aiuto di Stato”. Ciò che si chiede, dunque, è un “sostegno alternativo”.

La misura contributiva ha portato a numerose assunzioni al Sud da parte di svariate realtà imprenditoriali. Si pensi alla Impes Service di Ferrandina (Matera). Il direttore marketing e commerciale, Luigi Semidai, ha evidenziato quanto sarà difficile sostenere l’attuale costo del personale. Il risultato? “Stimiamo un aumento del costo del lavoro fino al 70%. Saremo costretti a spostare la forza lavoro nelle sedi estere, se ci sarà la disponibilità dei dipendenti a trasferirsi”.

Dalla fuga dall’Italia a quella dal Sud verso il Nord, andando di fatto ad ampliare nuovamente quel divario che il nostro Paese ha bisogno di cancellare. Lo ha evidenziato Vittorio Genna, vicepresidente di Ala: “L’aumento del costo del lavoro sarà tra il 15 e il 25%. Stiamo rivedendo i programmi di assunzione e formazione, spostandoli al Nord”.