Economista, politico e accademico, Piercarlo Padoan ha ricoperto il ruolo di Ministro dell’Economia e delle Finanze prima nel Governo Renzi e poi nel Governo Gentiloni. É stato anche direttore esecutivo per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale dal 2001 al 2005 e vice segretario generale dell’OCSE, divenendone poi capo economista nel 2009.
L’attuale scenario macroeconomico è mutato repentinamente nelle ultime settimane: le priorità dei Governi e della BCE si sono spostate su manovre difensive, che che lo stesso Padoan ha definito “misure catenaccio”. Abbiamo intervistato Piercarlo Padoan per parlare di MES, Recovery Fund e della BERS, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, di cui è attualmente il candidato italiano alla presidenza.
Vorrei iniziare parlando del Decreto Rilancio: Carlo Cottarelli, in una nostra recente intervista, l’ha definita un’ottima manovra difensiva, ma carente di un reale piano di investimenti pubblici. É d’accordo?
Se posso seguire lo spirito di quello che ha detto Carlo Cottarelli, io l’ho definita a mia volta una “manovra catenaccio”, per usare una metafora calcistica. Il catenaccio è una difesa ad oltranza contro una squadra chiaramente superiore, con la quale si inizia allo stesso tempo ad impostare un po’ di contropiede, per poter colpire di rimessa e andare a vincere la partita, in questo caso contro il virus. Quindi direi che nella sostanza il pensiero di Cottarelli è molto simile al mio.
In generale – al netto del Decreto Rilancio – come si sta muovendo il Governo dal suo punto di vista?
Qualche mese fa – prima dello scoppio della crisi – il Governo aveva impostato un’importante politica di riforme che si basava su una manovra fiscale di cui il Ministro è tornato recentemente a parlare e sul rilancio degli investimenti. Poi è arrivata questa ondata del virus, che ha trovato il nostro Paese particolarmente esposto. Il Governo ha fatto uno sforzo enorme in termini di risorse: le cifre messe in campo sono effettivamente molto significative. Ma soprattutto ha cercato di proteggere i più deboli sia in termini di reddito che in termini di perdita di occupazione, per quanto temporanea. E’ chiaro si tratta di una situazione di emergenza che va superata il più rapidamente possibile: è facile comprendere che una delle misure che più sosterranno la ripresa economica sarà proprio il ritorno alla normalità, ovvero l’uscita dal lockdown.
Quanto ci vorrà secondo lei per tornare ad una situazione di PIL pre-Covid?
Tutte le previsioni danno, non solo per l’Italia, una forte caduta quest’anno e una parziale ripresa l’anno prossimo. Molto dipenderà dalle misure di accompagnamento alla crescita che il Governo riuscirà a mettere in campo, soprattutto in termini di investimenti pubblici e privati, che si iniziano peraltro ad intravedere nel Decreto Rilancio. Inoltre, i nuovi strumenti messi a disposizione dall’Europa possono dare il loro meglio proprio nel sostenere questi investimenti.
A proposito di Europa, il dibattito in atto in questo momento sul MES l’ha definito nei giorni scorsi “surreale”: come mai?
L’ho definito surreale per due ragioni, innanzi tutto perché l’Italia è l’unico Paese in cui questa discussione ha avuto luogo. Inoltre lo trovo surreale perché molto spesso chi attaccava il MES, non lo attaccava contro il sostegno degli investimenti sanitari ma semplicemente in quanto strumento di gestione della crisi, per esempio di quella Greca. Ma questo non è all’ordine del giorno: l’Italia non ha bisogno di un MES greco, ma potrebbe invece avere molti benefici da un MES che finanzia a costi ridottissimi dei prestiti per gli investimenti nella sanità.
Come giudica la posizione di chi ha definito inutili strumenti come il MES e il Recovery Fund, sostenendo che solo l’acquisto illimitato di titoli da parte della BCE possa sostenere l’eurozona e in particolare gli Stati più in difficoltà come il nostro?
La giudico sbagliata, perché è vero che quello che sta facendo la BCE è importante, ma ci si deve anche iniziare a porre la questione di quanto potrà andare avanti il solo sostegno monetario in queste dimensioni da parte della BCE. Io di fatto ritengo che l’accelerazione della Germania verso un Recovery Fund è anche determinata dalla coscienza che la politica monetaria di sostegno della BCE non potrà essere infinita, ci sarà prima o poi un limite e a quel punto gli strumenti monetari non saranno sufficienti a colmare il gap di finanziamento e bisognerà ricorrere a prestiti europei. Infine, vorrei far notare che negli ultimi anni è successo che queste notevoli iniezioni di liquidità hanno aiutato a sostenere i prezzi dei titoli di Stato e di altri asset, ma hanno fatto poco per rilanciare l’economia. Quindi ci potremmo trovare di fronte ad una grave situazione in cui la liquidità rimane oziosa e inoperosa nelle tasche di chi la riceve, senza tradursi in investimenti.
Come ha accolto la sentenza della Corte Costituzionale tedesca sul Quantitative Easing?
Questa sentenza può essere considerata un attacco all’indipendenza della BCE. Il criterio tecnico sulla base del quale la Corte Costituzionale tedesca ha chiesto alla Bundesbank dei chiarimenti è quello della proporzionalità, molto ambiguo da definire e che – in qualche misura – contesterebbe il fatto che la politica monetaria ha giurisdizione su altri terreni, magari anche con effetti fiscali. Se questo atteggiamento fosse esteso ad altre Corti Costituzionali dei Paesi membri dell’Unione monetaria, si metterebbe in discussione la sostenibilità dell’Unione monetaria stessa.
Eppure questa sentenza fa emergere un problema strutturale dell’eurozona, ovvero di essere un’area monetaria comune priva di una vera armonizzazione fiscale. Non saranno alla fine gli stessi tedeschi a farla saltare?
Credo di no, anche se è sicuramente un argomento che emerge in modo ciclico. Si renderebbero conto che a quel punto – senza eurozona – il nuovo Marco tedesco subirebbe un apprezzamento molto significativo che andrebbe a danno della loro stessa industria esportatrice, in questo momento già sotto i colpi della crisi. Quindi non credo che dal loro punto di vista, strettamente d’interesse nazionale, trarrebbero beneficio da questa operazione.
Parliamo ora della BERS, visto che lei è il candidato italiano alla presidenza di questa Banca. Cosa fa in concreto la BERS?
La BERS è nata dopo la caduta del Muro di Berlino, Operava in una serie di Paesi nei quali si iniziava a porre la necessità di ricostruire le economie in una direzione di mercato, visto che prima erano economie pianificate. La BERS è una Banca di sviluppo che ha aiutato questi Paesi ad effettuare tale transizione, con un ottimo successo se si pensa che quasi tutti sono oggi membri dell’Unione Europea. La BERS oggi ha poi una membership globale, di quasi 70 Paesi membri, tra i quali anche quelli del G7, La Bers si occupa di aiutare la transizione dei Paesi emergenti verso economie di mercato e lo fa attraverso finanziamenti e assistenza tecnica.
Quale potrebbe essere il ruolo della BERS in questa fase?
Sicuramente la BERS – come altre banche di sviluppo – ha attivato risorse per gestire la lotta alla crisi causata dal Coronavirus e lo sta facendo aiutando dal punto di vista strutturale i Paesi che ne hanno fatto richiesta.
Prima di salutarla, volevo chiederle se si sente fortunato a non ricoprire in questo momento il ruolo di Ministro dell’Economia?
Diciamo che so bene quale sforzo il Ministro Gualtieri sta producendo di fronte ad una situazione assolutamente eccezionale. Ha tutta la mia solidarietà e il mio incoraggiamento.