La Riforma delle Pensioni che porta il suo nome è senza dubbio uno dei provvedimenti più chiacchierati dell’ultimo decennio e – per questo motivo – Elsa Fornero sta ancora scontando gli attacchi di gran parte della politica e non solo. Nominata da Mario Monti ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con la delega alle Pari Opportunità, è la seconda donna nella storia della Repubblica Italiana – dopo Tina Anselmi – a ricoprire questo ruolo.
Quello del populismo è rimasto senza dubbio un tema vicino alla Fornero, che – quando la intervistiamo – è in partenza per Lione, dove parteciperà proprio ad una tavola rotonda proprio su questo tema. “Mi hanno chiesto di fare una sessione con Deni Rodrik e François Bourguignon, che sono esperti di populismo”, ci racconta. “Io invece non sono un’esperta, ma l’ho sperimentato sulla mia pelle”.
Buongiorno prof.ssa Fornero, iniziamo proprio parlando di populismo: si aspettava degli attacchi così forti e invasivi da parte della politica per aver toccato il tema delle pensioni?
Sicuramente no, ma fa parte di uno scenario di incattivimento e di svilimento delle istituzioni democratiche. Questo tentativo di far passare una superiorità morale accompagnata ad incompetenza come legittimazione per ogni azione di governo, è uno scenario che francamente non prevedevo e anzi mi preoccupa molto. Ho anche subito un atteggiamento tipico dei populisti che è quello di trovare dei facili capri espiatori che – di volta in volta – possono essere istituzioni, immigrati o singole persone che si sono assunte delle responsabilità e – come tutti coloro che si assumono responsabilità – possono anche commettere errori.
E lei crede di averne commessi con la sua riforma?
Con il senno di poi, nessuno rifarebbe le cose identiche a come le ha fatte in precedenza, perché vorrebbe dire che l’esperienza non gli ha insegnato nulla. A me ha insegnato molte cose, per esempio che è bene diffidare di chi si presenta come collaboratore, senza esserlo. Mi ha insegnato che quando non si ha la certezza di avere i numeri e i dati corretti, sarebbe meglio chiederne altri, anche se nel nostro caso era molto difficile perché avevamo pochissimo tempo. Mi ha anche insegnato che le riforme di questa portata vanno fatte coinvolgendo sempre le parti sociali e i cittadini. Sono tutte condizioni che a me sono mancate, a cominciare dai dati che mi hanno fornito. Quindi ho imparato molto da questa esperienza e da quello che ho vissuto negli anni successivi, e sicuramente cambierei qualcosa. Non in senso radicale, perché quella riforma era necessaria e lo è ancora oggi. Ma – come ho già detto – di alcune persone diffiderei molto di più, così come di alcuni dati e – a dispetto del fatto che non avevamo tempo – chiederei e vorrei una diversa comunicazione ai cittadini.
Visto che – come annunciato dal Governo – nel 2021 dovrebbe finire la sperimentazione di “Quota 100”, come si immagina oggi una riforma del sistema pensionistico?
Il nostro sistema non ha bisogno di una riforma completa, perché come ha scritto il presidente dell’INPS, che è stato scelto dai grillini e si sente grillino, il sistema è sostenibile nonostante “Quota 100”, che introduce un’eccezione all’allungamento della vita di lavoro per tre anni. Se “Quota 100” dovesse continuare indefinitamente sarebbe una minaccia seria alla sostenibilità dei conti: per questo penso sia stata un errore, in quanto si tratta di una chiara manovra di matrice elettorale, anche questa decisamente populista.
Quindi crede che “Quota 100” andrebbe cancellata?
A questo punto non penso che debba essere cancellata, semmai essere resa un po’ meno generosa per l’anno prossimo e per quello successivo, magari con una richiesta di 3 o 6 mesi ulteriori. In ogni caso, dovrebbe essere chiaro a tutti che “Quota 100” non ci sarà nel 2022. E non per cattiveria, ma perché altrimenti i conti non sarebbero più sostenibili.
Oltre al tema pensionistico, un altro degli argomenti su cui si sta combattendo la partita della manovra è senza dubbio la flat tax, in particolare quella per le partite Iva fino a 65.000 euro. Cosa pensa lei in merito?
In generale penso che la flat tax sia sbagliata e per certi versi incostituzionale. Ad ogni modo, la concezione che ne hanno oggi i proponenti, da Salvini in giù, è diversa da quella che avevano all’inizio, ovvero di una tassa piatta e regressiva. Il tema delle partite Iva – poi – è molto delicato: quando feci io la riforma del lavoro, l’imperativo era far sì che non ci fossero più le partite Iva di necessità, ovvero coloro che per essere assunti sono costretti ad aprirla. Quando abbiamo adottato delle misure per ridurre le false partite Iva, in molti mi sono saltati addosso dicendomi che questo limitava la flessibilità nel mercato del lavoro. Oggi sappiamo che la perdurante difficoltà nel mercato del lavoro fa sì che molti giovani debbano cercare di crearsi un lavoro ed essere necessariamente molto flessibili. La possibilità di fissare un ammontare massimo – per esempio del 15% – in linea di massima va bene, ma attenzione a creare salti: fissare un tetto di 65 mila euro induce molti a cercare di rimanere sotto quella cifra, con il nero o anche – per esempio – con la dissoluzione di studi più grandi in studi piccoli, ciascuno dei quali possa stare entro i limiti. Credo che faranno quindi qualche revisione, anche se l’attuale stato della maggioranza rende piuttosto scettici in merito a questa revisione.
A proposito di revisioni, anche il reddito di inclusione che c’era durante il suo governo, è diventato reddito di cittadinanza.
Si chiamava reddito d’inclusione ed è vero che è iniziato con il nostro governo, in particolare con la viceministra Cecilia Guerra. Questo provvedimento, che è stato poi introdotto in maniera più piena dal governo Renzi e poi da quello Gentiloni, ha la stessa natura del reddito di cittadinanza. Certo, non tutta la povertà è dovuta alla mancanza di lavoro, spesso è causata dall’emarginazione sociale e dalla solitudine che provoca la società moderna. Ma per quanto riguarda il problema di mancanza di lavoro, avevamo pensato all’attivazione di un sistema che implica un doppio impegno: quello del cittadino ad essere attivo e quello dello Stato di aiutarti a trovare occasioni e di formarti al meglio. Queste sono le cosiddette politiche attive del lavoro, che sentendo Di Maio sembrava avesse inventato lui. E invece sono diversi anni, per non dire decenni, che si cerca di attivarle nel nostro Paese: in questo c’è un’enorme differenza tra le varie regioni, che hanno un forte presidio su queste politiche. Quindi ci troviamo in una situazione nella quale alcune regioni hanno politiche attive del lavoro che potrebbero quasi far invidia alla Germania e altre che invece sono il deserto totale. Ecco perché è inaccettabile che ci sia sempre questa idea di cambiare tutto: sarebbe stato molto più logico costruire su ciò che già c’era, magari aumentando le risorse. E’ un po’ lo stesso accaduto con Quota 100: era stato introdotto l’Ape social, sono stati fatti dei correttivi tesi a dare un po’ più di flessibilità, ecco che si poteva procedere lungo quella strada anziché rendere la bandiera dello smantellamento della Riforma Fornero, una misura che finisce per favorire chi ha il lavoro, soprattutto se maschio.
E come abbiamo detto all’inizio, chi sventola questa bandiera, lo fa “in nome del popolo”. E’ possibile che – soprattutto in Italia – le scelte dolorose vengano demandate sempre ai tecnici?
I grillini sono solo l’ultima e più acuta espressione del populismo, ma abbiamo avuto già molti politici che non hanno detto la verità ai cittadini. Il fatto che la politica debba sempre seguire gli impulsi del popolo è a mio avviso profondamente sbagliato, proprio perché la politica dovrebbe guidare un Paese. Per esempio, dovrebbe essere chiaro che vogliamo stare in Europa e dobbiamo dirlo in modo aperto, così come dire che vogliamo una tassazione progressiva è fondamentale. Dire che vogliamo ridurre le tasse per tutti è populista, nella misura in cui abbiamo un grande debito e quindi se riduciamo solo la tassazione senza ridurre la spesa, oltre che populisti siamo anche irresponsabili, perché significa esporre il Paese a crisi finanziarie nelle quali bisogna agire in maniera immediata e radicale. Questo i politici non lo vogliono fare e quindi – per l’appunto – chiamano i tecnici su cui possono riversare poi tutto il loro rancore e risentimento. La politica vera è la politica che non nasconde, non dice che tutto è possibile e soprattutto non nel breve termine, che le scelte dolorose di oggi qualche volta sono necessarie, ma in ogni caso sono fatte per migliorare la situazione domani. In questo senso sono investimenti sociali: qualcosa che richiede – come qualunque investimento – un sacrificio oggi per avere un beneficio domani. Stiamo facendo scelte sempre più a favore della parte di popolazione numerosa, ovvero quella più anziana: ciò toglie opportunità ai giovani e ne determina quella fuga verso l’estero che rappresenta un grave detrimento alla nostra crescita.
Prof.ssa Fornero, prima di concludere: è andata a vedere il canale YouTube di Cicciogamer?
Non l’ho fatto appositamente, perché a questo punto devo farne un titolo di merito. Ho saputo anche che Cicciogamer è stato simpatico con me in un’intervista…
Sì, ha rilasciato un’intervista a Radio Capital in cui dice che vorrebbe prendersi un caffè con lei.
Infatti, l’ho sentito da poco. Devo dire che anche io sarei felice di prendere un caffè con Cicciogamer, per cui se dovesse passare da Torino, mi può chiamare e io sarò onorata di incontrarlo. Non ho nessuna forma di snobismo e anzi devo dire che tutti i miei nipoti lo conoscevano. Però i miei nipoti hanno dai tredici anni in giù, per cui capisce che il bersaglio è stato totalmente mancato: se uno parla di giovani, non sta parlando di bambini.