Ottenere soldi tramite il ricatto affettivo, per la Cassazione è estorsione: la sentenza

"Dammi i soldi o ti lascio": per la Corte di Cassazione ricattare il partner minacciando la fine della relazione in caso non venga soddisfatta una richiesta economica fa scattare il reato di estorsione

Foto di Mauro Di Gregorio

Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pretendere denaro dal partner minacciando la fine della relazione in caso la richiesta non dovesse venire soddisfatta configura il reato di estorsione a norma dell’articolo 629 del codice penale. A chiarire i contorni del ricatto affettivo è la sentenza n. 12633 del 27 marzo 2024 emessa dalla seconda sezione penale della Corte di Cassazione.

La Cassazione sanziona il ricatto affettivo

La Cassazione condanna dunque la frase “dammi i soldi o fra di noi è finita”, in tutte le sue possibili declinazioni. Per giustificare e dare peso alla denuncia bastano gli screen di WhatsApp e non importa se nella coppia entrambe le parti abbiano da tempo accettato interazioni improntate a toni dalla forte violenza verbale. Al caso non si applica la disciplina delle intercettazioni dal momento che non si capta un flusso di comunicazioni in diretta, ma lo si documenta in un momento successivo. Nel caso specifico, la Cassazione ha giudicato il caso di un uomo che pretendeva la restituzione di alcune somme di denaro da una donna con la quale aveva una relazione sentimentale.

Dovere di assistenza familiare

Il dovere di assistenza reciproca, nei rapporti familiari, è sancito dal codice civile per le coppie sposate. La giurisprudenza ha successivamente esteso tale obbligo anche alle coppie di fatto. Il rapporto di coppia, istituzionalizzato dal matrimonio (o che sorge anche solo per il fatto di essere una coppia di fatto) fa scattare l’obbligo di solidarietà fra i partner, che si traduce anche nell’obbligo di sostegno economico. La restituzione delle somme spese deve avvenire spontaneamente e senza ricatti, altrimenti può scattare il reato di estorsione.

L’articolo 629 del codice penale punisce con la reclusione da 5 a 10 anni e con la multa da 1.000 a 4.000 euro “chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. Ma le aggravanti possono aumentare le pene da 7 a 20 anni e la multa può salire da 5.000 a 15.000 euro.

Offese, espressioni di disprezzo e minacce testimoniano il ruolo di prevaricatore/prevaricatrice di una parte della coppia e il ruolo improntato alla sudditanza psicologica dell’altra parte. Tanto basta a manifestare la mancanza di libera scelta. Ma anche minacce velate e non esplicite configurano il reato qualora bastino a incutere timore o ad alterare la libera volontà della vittima nella sua autodeterminazione fisica e morale.

La valutazione del giudice

Ma a decidere se si configura o meno il reato è il giudice, che valuta se la minaccia sia idonea a incutere timore e se la personalità dell’agente sia tale da indurre paura nella controparte. Il giudice valuta anche le condizioni psicologiche della vittima e il contesto ambientale in cui è avvenuto il confronto fra le parti.

Solo in sede di esecuzione della pena il condannato può far valere la sua decisione di venire sottoposto a un percorso di giustizia riparativa.