La Corte di Cassazione ha stabilito che l’assegno di divorzio può essere riconosciuto anche dopo lo scioglimento di un’unione civile. Con una recente ordinanza della prima sezione civile, i giudici hanno precisato che si applicano i medesimi principi già previsti per le coppie sposate, ribadendo l’importanza delle funzioni assistenziale e perequativo-compensativa. Secondo la Suprema Corte, l’assegno può essere riconosciuto dopo l’accertamento della inadeguatezza dei mezzi del richiedente, individuando così la sua funzione assistenziale e la sua funzione perequativo-compensativa. Il provvedimento sottolinea che le unioni civili, pur avendo caratteristiche proprie, come la possibilità di scioglimento con minori formalità e senza una fase di separazione, restano soggette, per espressa disposizione normativa, alla legge sul divorzio. I criteri elaborati dalla giurisprudenza in tema di scioglimento del matrimonio si applicano anche a queste situazioni.
Assegno di divorzio: la funzione assistenziale e quella compensativa
La funzione assistenziale dell’assegno riguarda l’inadeguatezza di mezzi sufficienti a garantire una vita autonoma e dignitosa e l’impossibilità per il richiedente di procurarseli nonostante l’impegno. In questi casi, l’assegno non è parametrato al tenore di vita mantenuto durante la convivenza, ma a quanto necessario per soddisfare i bisogni essenziali dell’avente diritto. La Cassazione chiarisce inoltre che la funzione perequativo-compensativa si applica quando lo squilibrio economico tra le parti dipende dalle scelte condivise nella vita comune. È il caso in cui uno dei partner abbia sacrificato opportunità professionali e reddito personale per dedicarsi al ménage domestico o alla costruzione del patrimonio comune. In queste circostanze, l’assegno viene calcolato anche in base al contributo fornito dal richiedente alla crescita della famiglia e alle risorse accumulate.
Il caso esaminato
La vicenda che ha portato alla pronuncia riguarda due donne che avevano costituito un’unione civile nel 2016. Dopo lo scioglimento del rapporto, una delle due aveva chiesto al tribunale il riconoscimento dell’assegno di divorzio. In primo grado il tribunale di Pordenone aveva accolto la domanda, stabilendo un assegno mensile di 550 euro. La decisione era stata però ribaltata in appello dalla Corte di Trieste. Successivamente, le Sezioni Unite civili della Cassazione avevano riaperto il caso, rinviando gli atti nuovamente a Trieste per un nuovo esame. Nel procedimento d’appello-bis, i giudici friulani hanno riconosciuto il diritto all’assegno, ma la Cassazione ha ritenuto necessario un ulteriore approfondimento. La Corte ha infatti osservato che erano stati accertati soltanto la disparità economica tra le parti e il sacrificio di una prospettiva di carriera, senza verificare se tali elementi avessero determinato o aggravato uno squilibrio economico preesistente.
Le valutazioni ancora richieste
I giudici della Cassazione hanno sottolineato che, per stabilire l’effettiva necessità dell’assegno, occorre verificare se la condizione attuale della richiedente, nel caso specifico una donna di 44 anni, richieda davvero l’apporto economico dell’ex compagna per garantire un’esistenza dignitosa. In questo modo, la Suprema Corte ha ribadito la necessità di un accertamento concreto e dettagliato, che tenga conto non solo della disparità economica tra gli ex partner, ma anche della sua origine e della sua incidenza sulla vita della persona più debole. Questa decisione conferma l’orientamento secondo cui le unioni civili, pur essendo istituti autonomi rispetto al matrimonio, devono essere regolate, in caso di scioglimento, dagli stessi principi previsti per i divorzi. La pronuncia contribuisce così a delineare un quadro giuridico più chiaro per le coppie che hanno scelto questo tipo di riconoscimento legale, garantendo tutele omogenee e criteri uniformi.