Spesso l’economia circolare è associata alla parola “riciclaggio”. Si tratta senza dubbio di un’attività importante, ma che si basa sulla creazione di rifiuti. I rifiuti vengono poi reintrodotti nel ciclo produttivo per essere trasformati in nuovi prodotti. Tuttavia, la Commissione europea incoraggia altre attività, come la prevenzione dei rifiuti, rispetto al riciclaggio. Ciò significa che oggi la sfida dell’economia circolare si gioca anche lungo l’intera catena del valore. Più precisamente, nel contesto dei sottoprodotti industriali. Si tratta dei classici “scarti di lavorazione” ovvero, in altre parole, quei residui che numerose aziende hanno preferito smaltire come rifiuti, piuttosto che tentare di riutilizzarli, con conseguenze negative per l’ambiente.
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La normativa sui sottoprodotti
A contribuire a velocizzare il cambio di scenario anche in Italia è l’entrata in vigore di una normativa sugli acquisti della Pubblica Amministrazione (e non solo) che mette ora sullo stesso piano sottoprodotti e plastica riciclata. Tutto questo riguarda i materiali che, in campo edilizio, rispondono ai criteri ambientali minimi relativi al cosiddetto “green public procurement”, ovvero i requisiti definiti per le varie fasi del processo di acquisto al fine di individuare la soluzione migliore sotto il profilo ambientale lungo tutto il ciclo di vita del prodotto. Ricorrere ai sottoprodotti si trasforma così a tutti gli effetti, sostanziali e burocratici, in una scelta che contribuisce a salvaguardare l’ambiente in modo efficace.
Cos’è un sottoprodotto
Ogni processo produttivo genera una quota più o meno ampia di materiale residuo. Tuttavia, non tutti i residui sono uguali e sapere come gestirli è fondamentale per le imprese che vogliono utilizzare al meglio il materiale a disposizione, evitando di incorrere in sanzioni amministrative.
I residui di produzione possono avere due finalità: essere considerati dei rifiuti o diventare materiali da riciclare. Se sono dei rifiuti, devono essere smaltiti in determinati modi, secondo la definizione contenuta nella direttiva comunitaria 2008/98/CE. Nel secondo caso, i residui possono essere pensati come materiale da riutilizzare in ulteriori linee di produzione e vengono chiamati sottoprodotti. I sottoprodotti sono rifiuti per i quali esiste una “seconda vita” e possono essere riutilizzati immediatamente in un processo produttivo, anche diverso da quello originario, per dare origine a nuovi prodotti.
L’importanza dei residui di produzione
Diventa quindi fondamentale riuscire a valorizzare al massimo l’enorme quantità di residui che si generano durante le diverse attività di produzione, in particolare proprio nel mondo dell’industria dei materiali plastici. Questo perché i materiali residui sono potenziali materie prime seconde. Per farsi un’idea dei numeri in gioco, secondo Plasticseurope, in Europa vengono trasformate circa 50 milioni di tonnellate di plastica all’anno le a quantità di sottoprodotti generati è compresa in un range che va dal 2 al 10 per cento (la percentuale varia a seconda della tipologia del processo industriale). Questo equivale quindi all’incirca a un milione di tonnellate di potenziali sottoprodotti.
Valorizzare i residui di produzione
L’obiettivo delle aziende è ora quello di qualificare formalmente questi residui di produzione come sottoprodotti, in modo che dopo un processo di macinatura, siano nuovamente utilizzabili per la realizzazione di semilavorati o prodotti finiti in plastica. Ed è esattamente questo lo scopo di Certified Plastic Byproduct, il nuovo servizio tecnologico che garantisce l’identificazione e la corretta gestione dei sottoprodotti in plastica. Grazie alla tecnologia blockchain è possibile registrare in modo univoco, immutabile e verificabile (sempre, da chiunque e in ogni parte del mondo) le dichiarazioni che qualificano gli scarti di produzione come sottoprodotti, incoraggiando così le aziende a riutilizzare questi materiali.
La Blockchain a sostegno dell’ambiente
Certified Plastic Byproduct è un servizio che si occupa dell’identificazione e della corretta gestione dei sottoprodotti di plastica. Grazie alla tecnologia Blockchain, Certified Plastic Byproduct registra in modo univoco, immutabile e verificabile le dichiarazioni che qualificano gli scarti di produzione come sottoprodotti, spingendo le aziende a riutilizzare il materiale residuo.
Come spiega Riccardo Parini, ceo di di PlasticFinder, il marketplace della plastica attivo dal 2017, dopo Certified Recycled Plastic®, che permette di tracciare la plastica riciclata attraverso un semplice QR Code, PlasticFinder mette a disposizione della filiera un nuovo strumento, con un funzionamento del tutto simile, che consente di identificare e tracciare i sottoprodotti nel rispetto della normativa comunitaria e italiana.
Cos’è la tecnologia Blockchain
La tecnologia Blockchain consente la creazione e la gestione di grandi database contenenti qualsiasi tipo di scambio o transazione tra soggetti diversi. Questi database funzionano come veri e propri registri elettronici strutturati in catene di “blocchi” contenenti le singole transazioni. In Blockchain ogni blocco indica cosa è stato trasferito e a chi, ed è identificato da un codice univoco (hash) che consente l’identificazione certa del contenuto dell’informazione. La tecnologia Blockchain consente quindi una tracciabilità completa dei flussi di scambio e di valore, rendendo possibile la costruzione di una “Catena del Valore Ambientale”.
I vantaggi per le aziende
Grazie al servizio Certified Plastic Byproduct di PlasticFinder si evitano i problemi pratici e burocratici che la gestione dei sottoprodotti comporta. Difficoltà e disagi che spesso portano le aziende alla decisione di considerarli alla stregua di rifiuti e, dunque, a disfarsene, anziché a riutilizzarli come materiali per nuove produzioni. Rimettere in circolo materiale di scarto è strategico e consente di abbracciare l’economia circolare e promuovere il business sostenibile. Il servizio può essere utilizzato da qualsiasi azienda generi scarti di materiali plastici.