Il fenomeno del Fast fashion è uno dei più dibattuti nella moda e si tratta della produzione di capi dal grande impatto ambientale. Di fatto è l’approccio più utilizzato attualmente perchè coinvolge la produzione massiva e massiccia di capi di abbigliamento.
Con Fast fashion si intende infatti un metodo di produzione di abiti di bassa qualità a prezzi molto bassi e che prevede il lancio di nuove collezioni continuamente e in tempi brevissimi. Di fatto è la strategia alla base delle grandi catene che si trovano in qualsiasi centro commerciale.
Possiamo quindi dire che la mission dei brand del Fast fashion è quella di offrire ai propri consumatori le ultime tendenze del momento ad un buon prezzo. I destinatari di prodotti realizzati con l’approccio Fast fashion sono persone attente allo stile, che danno tanta importanza al lato emozionale della moda, all’apparire unici non per cosa si indossa ma per come lo si fa.
Se da una parte una buona parte dei consumatori acquista prodotti di Fast fashion perché non ha la possibilità economica di acquistare capi di un altro livello, altri consumatori acquistano questi prodotti solo perché sentono la necessità di cambiare spesso il proprio guardaroba.
A contrastare il movimento Fast fashion c’è quello dello Slow fashion, che cerca di infondere nei produttori una modalità “più lenta” di confezionamento dell’abbigliamento, cercando di far capire ai consumatori che non è necessario acquistare nuovi capi di abbigliamento ogni giorno.
Oggi i colossi del Fast fashion stanno puntando sull’ e-commerce e sul marketing online per poter raggiungere i loro clienti sempre e dovunque di fatto allungando i propri cicli di vita. La domanda per questo tipo di abbigliamento è ben lontana dal diminuire
Indice
La storia del Fast fashion
In molti ipotizzano che il Fast fashion abbia avuto origine nella rivoluzione industriale, quando cioè l’industria tessile, grazie all’impulso dato dalla meccanizzazione e dall’automazione, cominciò a produrre capi in serie. Da quel momento infatti, gli abiti potevano essere rivenduti ad un prezzo medio-basso, anche abiti moderni per l’epoca e alla moda, ma soprattutto diventano accessibili per le classi sociali meno elevate, che fino a quel momento erano escluse dal mondo della moda.
Il vero debutto dei primi brand evidentemente Fast fashion va collocato intorno agli anni ’70, quando nascono marchi come Zara, H&M, GAP, Topshop, Primark, OVS e Benetton. Da piccole aziende imprenditoriali specializzate, spesso a gestione familiare, nel corso degli anni queste aziende sono diventate sempre più popolari, hanno rivisto le proprie strategie di produzione, di gestione delle risorse, di distribuzione e di vendita.
Gli anni 90 e 2000 sono stati il momento d’oro per i colossi del Fast fashion con una vera e propria diffusione globale e capillare. Da allora i grandi brand del Fast fashion hanno conquistato il mercato, arrivando a competere per diffusione e fatturato anche con realtà più di lusso. Il loro successo è correlato alla capacità di intercettare alcune tendenze soddisfacendo le aspettative dei clienti che hanno saputo tradurre in un approccio completamente nuovo.
In buona sostanza i grandi colossi del Fast fashion infatti hanno:
- reso la moda democratica e accessibile a tutti
- modificato il concetto di “collezione” in quanto puntano su un ricambio continuo dell’offerta
- capito e sfruttato le nuove tendenze d’acquisto puntando sul comportamento più “compulsivo” del consumatore medio di Fast fashion
Fast fashion: i pro
Il Fast fashion ha dei pro o meglio degli aspetti che non devono essere generalizzati. Molti capi di abbigliamento acquistati dalle grandi catene di distribuzione, infatti, durano per diversi anni e non è detto che siano di scarsa qualità.
Non è detto inoltre che la qualità sia sempre scarsa, è un’affermazione molto generalizzata: le grandi catene hanno infatti collaudato da anni sistemi di produzione che possano garantire una buona qualità dei loro prodotti, pur cambiando collezioni continuamente.
Chiaramente il successo del Fast fashion è dovuto alla possibilità per i consumatori di indossare capi simili a quelli delle griffes più famose del pianeta, potendoli acquistare a prezzi molto bassi. Quindi, un particolare modello di shorts visto sulle passerelle di un brand che lo venderà a 2.000 euro viene replicato da grandi catene come H&M e Benetton a poche decine di euro.
La Fast fashion si è quindi rivelata una vera e propria rivoluzione nel settore retail: producendo moda low cost si offre la possibilità ad una vasta fetta di persone, molto più ampia di chi si può permettere un paio di shorts a 2.000 euro, di poter acquistare capi appena visti sulle passerelle.
Le aziende che si basano sulla Fast fashion non possono utilizzare i tessuti ecologici attualmente presenti in commercio perchè costano troppo e non permetterebbero cioè di vendere i capi a poco prezzo, ma per contrastare le conseguenze negative sulla propria reputazione nel mondo, grandi catene come H&M hanno ideato delle campagne di ritiro di vestiti usati in cambio di sconti sugli acquisti.
Queste iniziative hanno riscontrato un notevole successo tra il pubblico, perché il consumatore ha la possibilità di acquistare qualcosa di nuovo ad un prezzo scontato (oltre ad avere la percezione che l’azienda sta facendo uno sforzo per il pianeta). Le catene di distribuzione dal canto loro vendono le loro nuove collezioni consentendo di tenere in moto un mercato che deve viaggiare a velocità molto elevata.
Fast fashion: i contro
Il problema dell’approccio del Fast fashion sono i contro: rivendere abbigliamento a basso costo significa produrlo a basso costo. Questo è possibile solo se si svalutano alcuni importanti aspetti della produzione. Il lavoratore è il più svantaggiato in questo scenario ma non solo per il basso salario ma anche e soprattutto per le condizioni lavorative.
Il problema è che oltre a venire a mancare il rispetto per le persone che producono gli abiti, le aziende che basano la propria produzione sul Fast fashion non si preoccupano dell’impatto delle loro produzioni sull’ambiente. I tessuti non vengono scelti sulla base dei danni che possono provocare sull’ambiente, non c’è attenzione alle tecniche di produzione e se vengono usati pesticidi o sostanze chimiche aggressive non è affatto un problema di primo grado.
L’impatto negativo sull’ambiente è dato quindi da:
- utilizzo di pesticidi che inquinano i fiumi e i terreni vicini alle fabbriche che ogni giorno li scaricano nell’acqua
- applicazione di coloranti tossici o sostanze dannose e aggressive utilizzate per la colorazione o lo sbiancamento dei tessuti
Anche le persone che abitano vicino a quei fiumi e a quegli scarichi utilizzando quell’acqua per agricoltura ed esigenze quotidiane ovviamente ne risentono, dato che le aziende mettono in serio pericolo la loro salute.
Fast fashion e e-commerce
Ad influire sul successo di un negozio d’abbigliamento sono anche la velocità e la flessibilità dell’intera catena produttiva, dalla progettazione alla consegna. Il Fast fashion risulta essenziale per andare incontro ad una domanda sempre più esigente e cercare di ridurre al minimo il rischio di invenduto. Di fatto deve essere sempre più agevole modificare un capo di abbigliamento in base alle caratteristiche e alle preferenze dell’acquirente, che si trova di fronte ad una quantità quasi infinita di abiti tra cui scegliere e questo implica un’accelerazione nel rifornimento di novità da proporre, sia online che nel negozio fisico.
Del resto la domanda per capi di abbigliamento alla moda ma a basso prezzo non cessa di aumentare come dimostra l’espansione vertiginosa di un e-commerce di ultra Fast fashion come Shein, l’app di shopping più scaricata negli Stati Uniti e seconda in Italia.
L’e-commerce e il Fast fashion sono quindi ancora le chiavi per assicurarsi il successo nel campo del fashion retail che punta sulla quantità più che sulla qualità, anche se bisogna stare molto attenti alla sempre crescente consapevolezza di un target giovane nei confronti delle tematiche ambientali. Non si può ignorarli così come non è eticamente immaginabile di continuare a non fare alcuno sforzo per salvaguardare il diritto alla salute del pianeta e delle persone.
Se si continua a discutere animatamente dell’opportunità di boicottare il Fast fashion per ragioni etiche, le istanze però sembrano scomparire in questo loop continuo di shopping compulsivo, che a prezzi stracciati spinge a comprare di continuo.
Perché il Fast fashion ha avuto (e ha) successo
Nonostante il difetto dei brand di Fast fashion relativo alla scarsa qualità del prodotto finale, questo approccio ha successo anche in un paese come l’Italia con una storia di artigianato di moda lunga e appassionante. Perché? Il motivo è dato dal fatto che la moda istantanea ha ormai cambiato le abitudini dei consumatori e le aspettative nei confronti di un capo di abbigliamento.
Tra l’altro, un dato su tutti spiega al meglio questa situazione: oggi rispetto a vent’anni fa la durata media della vita di un capo di abbigliamento si è almeno dimezzata e, quasi di conseguenza, il consumatore medio compra almeno il doppio dei vestiti.
Molto più pragmaticamente, ciò vuol dire che il Fast fashion non è “veloce” solo nella filiera produttiva ma in tutto il suo ciclo di vita. Un capo di abbigliamento del Fast fashion è da considerarsi vecchio già qualche mese dopo essere stato acquistato e il suo prezzo non può che essere rapportato a questo ciclo di vita molto breve.