Trasparenza retributiva, nuove norme Ue: cosa cambia per lavoratori e imprese

Una Direttiva europea impone all'Italia di recepire le regole sulla trasparenza retributiva entro il prossimo mese di giugno. Vediamo cosa cambia per i lavoratori

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

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In Europa il divario retributivo di genere è pari, in media, al 12%, anche se, fin dal 1957, la parità è stato uno dei primi principi sanciti proprio in sede comunitaria. Questo è il motivo per il quale è stata adottata una strategia comunitaria per combattere il gender pay gap: a fornire le indicazioni su come debbano comportarsi le aziende è la Direttiva Ue 2023/970, che dovrà essere recepita ufficialmente nel corso del mese di giugno 2026 anche dall’Italia.

Le linee guida che dovranno essere seguite dalle aziende sono molto chiare: le buste paga dovranno essere più trasparenti. Ma non solo: dovranno essere effettuate delle analisi periodiche per individuare eventuali divari e mettere in atto delle soluzioni per correggerli. I datori di lavoro, in altre parole, sono coinvolti direttamente e dovranno allineare il più possibile – o più correttamente: renderli il meno distanti possibile – gli stipendi degli uomini con quelli delle donne.

Trasparenza retributiva, a quali obblighi si andrà incontro

La parola d’ordine è trasparenza e lo scopo è quello di ridurre il gender gap retributivo. Che ci sia una netta differenza tra uomini e donne in busta paga è stato dimostrato dall’Osservatorio sul lavoro dipendente dell’Inps, dal quale emerge che tra quanto guadagnano c’è una distanza di oltre 8.000 euro. Una cifra ragguardevole, considerando che in Italia si registra uno dei gender pay gap più bassi a livello europeo se si prende in considerazione la singola ora. Ma sul lungo periodo le distanze aumentano, per un uso differente del part time, di carriere intermittenti o per delle mancate promozioni.

A determinare il gender pay gap, infatti, non sono solo le differenze retributive, ma anche la progressione di carriera. Ed è proprio su questo argomento che intervengono a gamba tesa le nuove regole in arrivo dell’Unione europea, il cui scopo è proprio quello di permettere di far accendere un riflettore anche alle aziende.

L’Europa, in estrema sintesi, invita i datori di lavoro a colmare il divario: sono coinvolti quanti operano nel privato, ma anche la pubblica amministrazione. Sono coinvolte tutte le forme contrattuali e la lente d’ingrandimento dovrà essere utilizzata fin dal momento dell’assunzione. Gli obblighi, ovviamente, saranno calibrati sulla base della dimensione dell’azienda.

I diritti dei dipendenti

I lavoratori dovranno essere informati sui loro diritti ed avranno la possibilità di conoscere i livelli retributivi medi dei soggetti che svolgono la stessa attività o un lavoro che ha lo stesso valore. In altre parole deve essere stabilito un rapporto di totale trasparenza con il personale fin dai primi annunci pubblicati per ricercare dei professionisti per le posizioni aperte.

Le aziende, inoltre, si dovranno impegnare a fotografare periodicamente l’andamento delle buste paga, redigendo un report dedicato, che dovrà essere realizzato seguendo il calendario contenuto nella tabella.

Dimensione dell’azienda Prima scadenza Periodicità
Meno di 100 Volontaria Volontaria
Tra i 100 e i 149 dipendenti 7 giugno 2031 3 anni
Tra i 150 e i 249 dipendenti 7 giugno 2027 3 anni
Oltre 250 dipendenti 7 giugno 2027 1 anni

Quali dati dovranno essere inseriti nel report

A fornire delle indicazioni precise e dettagliate sui contenuti che devono essere inseriti all’interno del report per monitorare il gender pay gap è la stessa direttiva europea. Dovranno essere contenute le differenze retributive di genere, comprese quelle delle componenti complementari o variabili. Dovrà essere indicato anche il divario retributivo mediano e sarà necessario indicare la percentuale di lavoratori e di lavoratrici che ricevono delle componenti complementari o variabili.

Le aziende dovranno inviare il report all’organo preposto e possono pubblicare i dati all’interno del proprio portale o qualsiasi altro canale.

La valutazione delle retribuzione

Il lavoro non si limiterà alla raccolta dei dati: nel caso in cui dal report dovesse emergere un divario retributivo superiore al 5%, che non può essere giustificato con dei criteri oggettivi e neutrali sotto il profilo del genere, le aziende lo dovranno correggere entro sei mesi. Nel caso in cui questo non dovesse essere fatto, le imprese dovranno effettuare, in collaborazione con le rappresentanze dei lavoratori e delle lavoratrici, una valutazione delle retribuzioni. Questa operazione dovrà essere effettuata entro un periodo ragionevole di tempo.

All’interno del pacchetto normativo, inoltre, sono previste, delle sanzioni, che dovranno essere in grado di dissuadere chi non rispetta le regole sulla trasparenza retributiva.

Cosa cambia ai fini pratici per i lavoratori

Abbiamo visto che l’obiettivo di fondo della direttiva europea è quello di garantire la parità di salario attraverso la trasparenza retributiva. Entro il 7 giugno 2026 l’Italia dovrà recepire la novità, che includono:

  • la trasparenza pre-assuntiva: quando pubblicano degli annunci di lavoro, le aziende devono indicare la retribuzione annua lorda (RAL) o la sua fascia;
  • i diritto dei lavoratori all’informazione: i dipendenti avranno la possibilità di richiedere ed ottenere i criteri retributivi medi che l’azienda ha adottato, che devono essere suddivisi per sesso e per colleghi che svolgono lo stesso lavoro o uno di pari valore;
  • reporting obbligatorio: come abbiamo visto in precedenza, le aziende devono pubblicare periodicamente i dati sul divario retributivo di genere. I dati devono essere resi noti all’interno dell’azienda;
  • onere della prova: nel caso in cui dovessero sorgere delle controversie legali che hanno come oggetto delle discriminazioni salariali, l’onere della prova viene spostata sul datore di lavoro, che dovrà farsi parte attiva per dimostrare l’assenza di discriminazioni.

Cosa prevede la legge oggi

Gli obblighi di trasparenza sono previsti già oggi dalla normativa italiana. Le aziende con oltre 50 dipendenti devono redigere un rapporto ogni due anni sulla situazione del proprio personale. Attraverso la nuova direttiva europea questi obblighi saranno estesi ulteriormente e ne viene estesa la portata.

Lo scopo è quello di promuovere una maggiore equità salariale e permettere ai lavoratori di contestare in modo più efficace eventuali discriminazioni retributive.