Residenza fiscale in Italia, come gestire la presenza fisica ed evitare le doppie imposte

Nodo importante legato alla residenza fiscale è quello della presenza fisica, che può determinare l'onere di pagare le tasse in due Paesi diversi

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

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Alcune importanti novità che riguardano la determinazione della residenza fiscale in Italia sono stati introdotti dal Dlgs n. 209/2023, il quale, oltre ad aver definito in modo diverso il domicilio, ha anche introdotto il criterio di presenza fisica all’interno del territorio dello Stato per definire la residenza fiscale di un singolo soggetto.

Riuscire a comprendere a pieno i principi che sono stati enunciati dalle varie disposizioni legislative permette di non commettere degli errori nel momento in cui si gestisce la propria presenza in un Paese o in un altro.

Residenza fiscale, in quale modo viene determinata

L’ex articolo 2, comma 2, del Tuir prevede che un soggetto abbia la residenza fiscale in Italia nel momento in cui nel nostro Paese ha:

  • la residenza, intesa come dimora abituale;
  • il domicilio, inteso come luogo nel quale si sviluppano gli interessi personali e familiari;
  • l’iscrizione all’anagrafe.

A quanto abbiamo visto fino a questo momento si aggiunge un ulteriore fattore: la presenza fisica in un determinato territorio dello Stato per un periodo superiore a 183 giorni. A destare non qualche dubbio e perplessità è proprio quest’ultimo criterio: un elemento che sostanzialmente non va a rispecchiare quanto l’Italia ha sottoscritto nelle varie Convenzioni contro le doppie imposizioni. E che, proprio per questo, potrebbe prestare il fianco a non pochi contenziosi di tipo fiscale.

Si pensi, per esempio, al caso limite rappresentato dagli studenti: possono essere considerati residenti fiscalmente in Italia a seguito del loro soggiorno abituale nel nostro Paese per studiare. Una situazione che potrebbe far nascere non poche problematiche.

La presenza fisica e il criterio del radicamento

La presenza fisica, ad ogni modo, costituisce un criterio oggettivo attraverso il quale si viene a radicare la residenza di un soggetto in Italia. Questo avviene a prescindere dalle motivazioni per le quali il singolo soggetto è presente nel nostro Paese.

Stando a quanto ha chiarito l’Agenzia delle Entrate attraverso la circolare n. 20/E/24, in questa situazione può trovarsi la persona che, per la maggior parte del periodo d’imposta, è presente in Italia, anche se, per vacanza o per motivi di studio rimane nel paese in modalità frazionata. In una situazione simile si possono trovare dei soggetti che stiano svolgendo la propria attività lavorativa nel territorio dello Stato, anche se continuano a mantenere la residenza, la famiglia e qualsiasi altro legame affettivo all’estero.

Quando si vengono a verificare queste situazioni la semplice presenza fisica in Italia – per la maggior parte del periodo d’imposta – determinerebbe la residenza fiscale nel nostro Paese.

Come deve essere riscontrata la presenza fisica

La presenza fisica in Italia può essere riscontrata basandosi su degli elementi attraverso i quali sia possibile attestare la presenza sul territorio, anche quando non dovesse essere continuativa e per un numero preciso di giorni.

Ricordiamo che la norma attualmente in vigore prevede che ogni frazione di giorno corrisponde ad un giorno intero di presenza fisica: questo aspetto è sostanzialmente una novità, non essendo presente nella formulazione precedente. E che amplia a dismisura il numero dei soggetti che potenzialmente potrebbero essere considerati fiscalmente residenti in Italia.

Ma come viene riscontrata la presenza nel nostro Paese? Esempi di tracciamento sono costituiti da:

  • voli aerei:
  • trasferimenti in treno o nave;
  • pagamenti fatti sul territorio:
  • prelevamenti di denaro;
  • fatture;
  • abbonamenti intestati a Telepass o sistemi simili.

Da parte sua il contribuente deve riuscire a dimostrare, attraverso dei documenti che abbiano valenza probatoria, di avere effettivamente trascorso dei periodi in Italia, ma che andandoli a considerare cumulativamente, non siano sufficienti a raggiungere il limite massimo previsto dalla normativa.

L’esclusione dalla residenza fiscale in Italia viene valutata analizzando se la presenza nel nostro Paese sia temporanea ed occasionale, come può accadere per uno scalo aereo effettuato in Italia dovuto ad un coincidenza presa per recarsi in un qualsiasi Paese estero.

Lavoratore in smart working, il nodo della presenza fisica

Situazione un po’ particolare è quella del lavoratore in smart working, che è presente in Italia per oltre 183 giorni. Nel caso in cui il soggetto abbia radicato la propria residenza fiscale in Italia dovrà pagare le tasse nel nostro Paese per tutti i redditi che ha maturato nell’arco dell’anno.

Quando, invece, i lavoratori in smart working sono all’estero, rimane sempre valida la soglia dei 183 giorni nel corso dell’anno da rispettare: se oltre a questo criterio rispettano anche gli altri tre (residenza civilistica, domicilio e iscrizione all’anagrafe italiane) devono versare le imposte in Italia.

La presenza fisica nelle doppie convenzioni

Il criterio della presenza fisica in Italia non risulta essere in linea con quanto sottoscritto dall’Italia con altri Paesi per evitare le doppie imposizioni. In questo caso, il criterio, che abbiamo appena visto, viene adottato non per individuare il soggiorno abituale di una persona, ma per individuare i redditi da lavoro dipendente.

È il caso specifico del lavoratore frontaliere, il quale trascorrere più della metà dell’anno in Italia: può essere considerato residente prendendo in considerazione la normativa interna. Purtroppo questo contribuente potrebbe trovarsi nella situazione di essere ritenuto residente fiscalmente anche nello Stato di partenza. Quando si viene a verificare questa situazione è utile l’articolo 4 delle Convenzioni: questa norma serve ad individuare un unica residenza fiscale per il contribuente che vive in una sorta di dual residence.

Per risolvere l’impasse, in questo caso, è necessario prendere in considerazione l’abitazione permanente. Nel caso che abbiamo riferito, il frontaliere potrebbe averla posta nel Paese di partenza, sciogliendo di fatto ogni dubbio alla sua origine. Ma non sempre la soluzione al problema potrebbe essere così semplice e rivelarsi così pacificamente.

Nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni che si basano sul modello Ocse, il criterio del soggiorno abituale è quello che si avvicina di più alla presenza fisica prevista dal legislatore italiano. In questi accordi il criterio del soggiorno abituale viene applicato quando non è possibile riscontrare la residenza in uno dei due Paesi basandosi sull’abitazione permanente o sul centro degli interessi vitali.