Raccogliere tartufi: non serve la partita Iva ma attenzione alle tasse

Per i raccoglitori di tartufi non sempre è necessario aprire la partita Iva: se i guadagni rimangono sotto i 7.000 euro non serve la fattura

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

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Raccogliere i tartufi non è solo un passatempo della domenica. È una vera e propria attività commerciale per la quale è stato necessario preparare delle apposite regole fiscali. A regolamenta la figura di raccoglitore di tartufi è la Legge 145/2018, ovvero la Legge di Bilancio 2019, attraverso la quale è stato superato il precedente regime di autofatturazione oggetto di una procedura di infrazione europea.

Il nuovo sistema si basa sul volume d’affari maturato e distingue nettamente i raccoglitori occasionali dai professionisti, che portano avanti un’attività commerciale a tutti gli effetti. La normativa, infatti, ha introdotto due distinti regimi fiscali:

  • per corrispettivi fino a 7.000 euro l’anno, per i quali si applica un’imposta sostitutiva forfettaria di 100 euro;
  • per corrispettivi superiori a 7.000 euro l’anno, per i quali si applica una ritenuta del 23% (a fare da sostituto d’imposta è il cessionario).

Quanti dovessero aprire la partita Iva hanno la possibilità di accedere a delle esenzioni particolari e a delle aliquote agevolate.

Le norme sui raccoglitori di tartufi

A regolamentare, sotto il profilo fiscale l’attività di raccoglitori di tartufi è l’articolo 1, commi da 692 a 699 della Legge n. 145/2018, che ha introdotto una serie di disposizioni per la cessione di prodotti selvatici non legnosi, che rientrano nella classe Ateco 02.30. La disciplina è stata ampliata: originariamente era limitata unicamente ai tartufi.

In precedenza il sistema si basava sull’autofatturazione (a prevederlo era l’articolo 1, comma 109, della Legge n. 311/2004): i soggetti Iva che acquistavano i tartufi dovevano emettere un’autofattura versando l’imposta sul valore aggiunto, senza avere la possibilità di portarla in detrazione. L’Europa ha aperto una procedura d’infrazione contro questo sistema.

Con la riforma che è stata introdotta nel corso del 2019 è stato eliminato l’obbligo di emettere un’autofattura, dunque. Il legislatore ha introdotto il sistema delle soglie e delle imposte sostitutive, che è stato recepito all’interno dell’articolo 34-ter del Dpr n. 633/72 per gli aspetti Iva e dell’articolo 24-ter del Dpr n. 600/73 per quanto riguarda le ritenute.

Il regime fiscale per chi è al di sotto dei 7.000 euro

Sono considerati dei raccoglitori occasionali quelli che riescono a realizzare dei corrispettivi annui inferiori a 7.000 euro. Il regime fiscale che viene applicato in questo caso è semplificato ed è caratterizzato da una serie di aspetti.

Imposta sostitutiva forfettaria

I contribuenti sono tenuti al versamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali. L’importo forfettario da versare è pari a 100 euro l’anno: il pagamento deve essere effettuato entro il 16 febbraio dell’anno successivo e deve essere utilizzato il codice tributo 1853.

Questa imposta va a sostituire completamente ed integralmente gli obblighi dichiarativi ordinari, oltre che l’Irpef e le relative addizionali.

Adempimenti Iva

L’attività di raccoglitore di tartufi occasionale è esente dal versamento dell’Iva. Il contribuente non è tenuto a rispettare i relativi obblighi documentali e contabili e, soprattutto, non deve inviare la dichiarazione annuale.

Come previsto dagli articoli 4 e 5 del Dpr n. 633/72, le cessioni non sono soggette ad Iva perché mancano i presupposti soggettivi.

Chi è escluso dal regime agevolato

Rimangono esclusi dal versamento dell’imposta sostitutiva quanti raccolgono i tartufi per uso personale.

Il limite dei 7.000 euro ad ogni modo non si cumula con altri redditi del raccoglitore.

Cosa succede se si superano i 7.000 euro

Il raccoglitore di tartufi che dovesse superare il limite annuale dei 7.000 euro perde il requisito dell’occasionalità: viene applicato il regime ordinario. Le caratteristiche più importanti di questo regime sono le seguenti.

Ritenute a titolo d’imposta

A regolamentare il versamento della ritenuta d’acconto è l’articolo 25-quater del Dpr n. 600/73: l’aliquota è al 23% che deve essere applicata sul 78% dei corrispettivi (significa che è pari al 17,94% del totale). Deve essere versata direttamente dal cessionario utilizzando un Modello F24 con codice tributo 1040.

Obbligo di aprire la partita Iva

In caso di superamento della soglia dei 7.000 euro determina l’applicazione dell’Iva a partire dall’anno successivo. A partire dall’anno successivo è necessario seguire le regole Dell’imposta sul valore aggiunto ordinarie: al contribuente deve essere attribuito un numero di partita Iva ed è necessario adempiere agli obblighi previsti per i soggetti passivi.

Quando si emetterà fattura, si applicherà l’Iva: non deve essere applicata alcuna ritenuta da parte dell’acquirente, indipendentemente dall’ammontare dei corrispettivi.

Gli obblighi per i ristoratori e i compratori

Ristoratori e commercianti che acquistano dei tartufi da raccoglitori occasionali devono sottostare ad alcuni obblighi fiscali. Quando l’acquirente è un soggetto Iva devono rilasciare un documento di acquisto al cui interno deve essere contenuto:

  • data di cessione dei tartufi;
  • nome, cognome e codice fiscale del cedente;
  • codice ricevuta del versamento dell’imposta sostitutiva;
  • natura e quantità del prodotto acquistato;
  • ammontare del corrispettivo pattuito.

Oltre a questo gli acquirenti sono tenuti:

  • a certificare, nel momento in cui vendono il tartufo, la sua provenienza, la data in cui è stato raccolto e quella di commercializzazione;
  • a comunicare ogni anno alla Regione la quantità di tartufi commercializzata e la provenienza territoriale, che devono corrispondere alle risultanze contabili.

Quando gli acquisti sono effettuati da dei raccoglitori occasionali, ovviamente, non c’è una fattura. Il prodotto, inoltre, non è documentato nemmeno da una bolletta doganale di importazione. Non è necessario, quindi, indicarlo nel registro degli acquisti.

Le operazioni devono essere riportate, ad ogni modo, nella comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva, perché l’adempimento si riferisce ai dati contabili riepilogativi delle liquidazioni periodiche dell’imposta.

Quali aliquote Iva devono essere applicate

Con la Legge di Bilancio 2019 sono state introdotte delle novità sul regime Iva da applicare alla vendita di tartufi. Devono essere applicate le seguenti aliquote:

  • per i tartufi freschi o refrigerati deve essere applicata l’aliquota del 5%;
  • per tartufi congelati, essiccati o preservati, ma non preparati per il consumo immediato deve essere applicata l’aliquota del 10%.