Quando si parla di lavoro dipendente lo stipendio mensile e il totale annuale lordo sono i due riferimenti economici principali. Soprattutto quest’ultimo dato di solito mette buon umore a qualunque lavoratore dipendente (perché é molto più alto del netto!). Ma basta prendere in mano la busta paga redatta dal nostro datore di lavoro, per smettere di sorridere: è infatti lì che vediamo quanti soldi in realtà vengono trattenuti. Ma sono tutte lì le tasse?
L’Ufficio studi della Cgia di Mestre ha affermato fa che “i dipendenti costano all’impresa quasi il doppio dello stipendio erogato”; tasse e contributi previdenziali continuano a gravare su salari e stipendi, limitando la capacità di spesa degli italiani.
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Busta paga: le tasse che bisogna pagare ogni mese
Sono diverse le tasse che, ogni mese, gravano sul dipendente e sul datore di lavoro. Costi da pagare davvero in parte e che, almeno in parte, spiegano i motivi per i quali le aziende sono spesso restie ad assumere nuove risorse. Infatti, per uno stipendio netto mensile di poco più di 1.300 euro, con contratto metalmeccanico, il titolare dell’azienda paga quasi il doppio: nel mezzo, va ad innestarsi un intrico di tasse e contributi.
Il cosiddetto cuneo fiscale, ovvero la differenza tra retribuzione effettiva del lavoro dipendente e costo del suo lavoro, è molto elevato in Italia.
Tra i costi che più gravano sullo stipendio lordo, ci sono i contributi INPS che in parte vengono pagati dal datore di lavoro, e in parte sono a carico del lavoratore dipendente.
Il sistema di previdenza dei lavoratori dipendenti iscritti all’INPS è finanziato, per la maggior parte delle categorie, tramite un contributo rapportato alla reale retribuzione dei lavoratori e, per le altre, a retribuzioni convenzionali.
Il contributo è “obbligatorio”, in quanto è dovuto per legge.
In busta paga poi, pesa anche la tassazione sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) che vengono trattenute dalla retribuzione lorda; il datore di lavoro, denominato anche “sostituto d’imposta”, le versa allo Stato.
Le trattenute Irpef
La trattenuta IRPEF viene calcolata sul reddito imponibile e in base agli scaglioni entro i quali ricade il reddito:
- per chi ha un reddito inferiore a 15.000 euro l’aliquota è pari al 23% ;
- da 15.001 fino a 28.000 euro, l’aliquota è pari al 25% sulla parte oltre i 15.000,00 euro;
- da 28.001 fino a 5o.000 euro, l’aliquota è pari al 35% sulla parte di reddito oltre i 28.000,00 euro;
- oltre 5o.000 euro l’aliquota è pari al 43% sulla parte oltre i 5o.000,00 euro.
Solo e soltanto per il 2024 le aliquote Irpes sono tre: 23%, 35% e 43%.
Alle aliquote e agli scaglioni IRPEF, si aggiungono tasse addizionali comunali e regionali da versare agli enti locali, in base alla residenza; ogni Regione decide liberamente l’imposta (a patto che non superi il tetto di 3,3%) mentre il Comune deve rimanere entro lo 0,8% tranne in casi particolari (ad esempio Roma Capitale applica un’aliquota dello 0,9%).
A tutto questo si aggiunge l’INAIL, il premio assicurativo a carico del titolare dell’azienda. Il premio può essere ordinario o speciale.
Quello ordinario è determinato dall’ammontare delle retribuzioni corrisposte durante il periodo assicurativo, e dal tasso del premio; è quindi correlato alla gravità del rischio della lavorazione. Le tariffe sulle quali si basa il premio, sono classificate in quattro categorie: tariffe gestione industria, tariffe gestione artigianato, tariffe gestione servizi, tariffe gestione altre attività.
Negli ultimi anni sono state compiute azioni per migliorare la situazione contributiva.
L’introduzione del bonus di 80 euro introdotto dalla Legge di Stabilità 2015 e il taglio dell’IRAP avvenuto sempre nel 2015 sul costo del lavoro dei lavoratori dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato, hanno ridotto il carico fiscale di circa 14 miliardi; riduzione che però, in confronto al carico ancora presente, risulta essere davvero minima.