Isa insufficienti per l’accusa di evasione fiscale, l’algoritmo non basta

Una sentenza chiarisce che l'Agenzia delle Entrate ha sbagliato a basarsi esclusivamente sugli Isa per un accertamento fiscale

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

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Gli indicatori sintetici di affidabilità sono stati bocciati dalla Corte di Giustizia Tributaria di Padova, che, con la sentenza n. 425/2025, ha salvato un contribuente dall’automatismo degli Isa. Nella contrapposizione degli algoritmi fiscali alla realtà economica, almeno fino a oggi, avevano sempre vinto in primi, arrivando a presumere casi di evasione senza tenere conto del contesto nel quale la maggior parte delle imprese sono costrette a operare.

I giudici padovani, però, hanno aggiustato la situazione, andando a delineare le giuste prospettive. La crisi economica e la forte concorrenza locale devono essere considerate delle difese valide nel caso in cui siano opportunamente documentate. E, soprattutto, l’Agenzia delle Entrate non può non tenere conto della situazione generale nella quale i contribuenti sono costretti a operare.

La vittoria della realtà economica sugli Isa rappresenta un vero e proprio giro di vite e costituisce un duro colpo nei confronti degli accertamenti fiscali che si basano sulle semplici presunzioni statistiche. Che costringono, nella maggior parte dei casi, i contribuenti a delle costose difese, anche quando sono onesti.

Isa contro realtà economica

Ma cerchiamo di capire nel dettaglio cosa sia successo nel caso finito sulla scrivania dei giudici veneziani.

La vicenda ha preso il via da un avviso di accertamento che l’Agenzia delle Entrate aveva notificato a una ditta individuale per l’anno d’imposta 2021, un periodo segnato profondamente dalle conseguenze economiche della pandemia di Covid.

La contestazione si riferiva ai maggiori redditi d’impresa conseguiti ma non dichiarati. La base di questa pretesa, però, si portava dietro una serie di perplessità. A giustificare l’accertamento non c’era una contabilità falsa o incompleta e non erano emerse prove conclamate di evasione fiscale.

Gli uffici tributari si erano mossi esclusivamente sulle discrepanze emerse dagli Isa, ossia gli Indicatori Sintetici di Affidabilità.

In altre parola le pretese fiscali dell’Agenzia delle Entrate si basavano esclusivamente su presunzioni statistiche relative ai ricavi che derivano:

  • dalla cessione di materiali;
  • dalle ore della manodopera impiegata;
  • dal prezzo orario praticato.

L’Agenzia delle Entrate aveva deciso di adottare un accertamento analitico-induttivo senza disporre degli elementi gravi, precisi e concreti richiesti dalla legge per giustificare un intervento. L’accertamento, in altre parole, era partito sulla base di un semplice sospetto algoritmico del software ministeriale.

Come si è difesa l’azienda

A ricevere l’avviso di accertamento è stata una piccola officina di periferia, che si era opposta ai risultati rilevati dagli Isa e aveva documentato nel dettaglio come si stesse muovendo il mercato.

La difesa era stata ben costruita e articolata e non si era limitata a contestare il metodo adottato. Era stata in grado di fornire una serie di prove concrete sui motivi che avevano generato dei ricavi inferiori alle aspettative dell’Agenzia delle Entrate.

Nella difesa era stato messo in evidenza come fosse stato completamente ignorato il contesto economico generale e le specificità della realtà aziendale.

Il contribuente aveva dimostrato in modo chiaro e preciso come nella zona esistesse una forte concorrenza, dato che altre officine erano presenti nel raggio di pochi chilometri.

La pressione competitiva portava il contribuente, che non voleva chiudere l’attività, a praticare dei prezzi bassi e operare con una marginalità bassa, ma pur sempre positiva. Questo era il modo per rimanere competitiva e non perdere la clientela che aveva acquisito faticosamente.

Alla situazione locale, per l’anno d’imposta 2021, si aggiungevano le conseguenze economiche derivanti dall’emergenza pandemica, a seguito della quale la domanda era calata e i clienti sono diventati più cauti nell’affrontare le spese.

L’annullamento dell’accertamento

In questo contesto la sentenza 425 depositata il 18 settembre 2025 dalla Corte di Giustizia di primo grado di Padova è diventata emblematica. I giudici hanno deciso di annullare completamente l’avviso di accertamento. È stata sposata in toto la linea difensiva del contribuente.

Al netto delle parti che si riferiscono alle sanzioni per le quali è cessata la materia del contendere, la decisione si è fondata sull’accoglimento delle eccezioni di merito. Secondo i giudici la documentazione relativa alla presenza della concorrenza e delle crisi economica era completa e ben delineata.

Gli elementi portati dal contribuente sono risultati ampiamente sufficienti ad attestare le motivazioni dei ricavi ridotti e della bassa marginalità registrata dall’officina meccanica.

In altre parole il tribunale ha certificato ufficialmente che la realtà economica – così come era stata documentata dal contribuente – era sufficiente a spiegare i motivi per i quali l’attività si era collocata al di sotto degli standard statistici degli Isa. L’Agenzia delle Entrate si è vista smontare una per una le sue presunzioni.

Il diritto fiscale in materia

La pronuncia descritta fino a questo momento è di primo grado, ma ribadisce un principio basilare del diritto fiscale italiano, che viene dimenticato troppo spesso dalla stessa Agenzia delle Entrate: non possono esistere automatismi tra lo scostamento dagli Isa e la legittimità di un accertamento.

Il risultato dell’algoritmo non può essere utilizzato come prova di evasione fiscale. Gli uffici preposti hanno l’obbligo di giustificare in modo approfondito e dettagliato le motivazioni che hanno portato all’avviso di accertamento.

Compito dell’Agenzia delle Entrate, inoltre, è quello di recepire le eccezioni e le giustificazioni del contribuente, almeno nei casi in cui siano opportunamente documentate da delle prove oggettive, come nel caso analizzato.

Con la sentenza, tra l’altro, è stato applicato in modo corretto l’onere della prova che è stato stabilito dall’articolo 7, comma 5-bis, del Dlgs n. 546/1992, attraverso cui vengono imposti agli uffici tributari i fatti sui quali si basano le proprie pretese e di non ignorare eventuali prove contrarie che siano state presentate dal contribuente.