Cartella esattoriale è illegittima quando manca il riferimento normativo degli interessi

La decisione arriva direttamente dalla Corte di Cassazione. La cartella esattoriale è illegittima nel caso in cui manchino i riferimenti normativi relativi agli interessi.

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

La cartella esattoriale, definita anche cartella di pagamento dall’Agenzia delle Entrate, costituisce, a tutti gli effetti, il primo atto attraverso il contribuente viene a conoscenza del proprio debito con il fisco. L’amministrazione finanziaria, emettendo questo documento, deve portare a conoscenza del debitore gli interessi che deve pagare. Per questo motivo, la cartella esattoriale deve contenere, oltre all’importo monetario richiesto, anche le disposizioni di legge che normano gli interessi reclamati. Oltre, ovviamente, alla data dalla quale gli accessori sono dovuti. Non è, invece, obbligatorio, comunicare i singoli saggi periodicamente applicati o i dettagli delle modalità di calcolo

In estrema sintesi, la cartella esattoriale deve contenere una serie di dati e di informazioni. Nel caso in cui il documento contenga solo e soltanto il computo degli interessi, lo stesso risulterà essere illegittimo. A decide in questo senso è stata l’ordinanza n. 34634 del 24 novembre 2022 della Corte di Cassazione.

Cartella esattoriale: quando è illegittima

I giudici della suprema corte hanno dovuto esprimersi relativamente all’impugnazione da parte di una società di capitali di una cartella esattoriale, che era stata emessa ai sensi dell’articolo 36 bis del D.P.R. n. 600 del 1973. Il documento era riferito a dei pagamenti IRAP ed IVA relativi all’anno di imposta 2008.

Arrivata fino alla Commissione Tributaria Regionale, la causa si concludeva con il respingimento in parte del ricorso della società. La Commissione aveva provveduto, infatti, ad annullare la cartella esattoriale solo nella parte relativa agli interessi.

Non soddisfatta dell’esito, l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto ad impugnare la sentenza d’appello davanti alla Corte di Cassazione. In questa sede gli agenti del fisco lamentavano la violazione dell’articolo 7 della Legge n. 212 del 27 luglio 2000 e dell’articolo 3 della Legge n. 241 del 7 agosto 1990: la C.T.R. aveva erroneamente ritenuto necessaria la motivazione della cartella esattoriale in ordine al procedimento di calcolo degli interessi.

I giudici della suprema corte, però, hanno ritenuto infondato il ricorso che era stato proposto dall’Agenzia delle Entrate e hanno provveduto a rigettarlo.

I criteri sono pacifici

Oggi come oggi i criteri per emettere una cartella esattoriale sono chiari e pacifici. Il documento è emesso attingendo ai dati presenti all’interno della dichiarazione dei redditi, che è stata presentata direttamente del contribuente. La cartella di pagamento, quindi, può essere motivata con un mero richiamo a questo atto, sempre che il contribuente sia in grado di conoscere i presupposti che ci siano dietro a questa pretesa, anche quando si stiano chiedendo delle cifre maggiori rispetto alla dichiarazione presentata.

Fatte queste doverose premesse, per quanto riguarda le sanzioni e gli interessi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si erano già espresse attraverso la sentenza n. 22281 del 14 luglio 2022. In questa sede era stato chiarito che, nel caso in cui la cartella esattoriale segua l’adozione di un atto fiscale prodromico, con quale sia stato determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, inviando al contribuente un avviso di accertamento, la cartella di pagamento deve ritenersi “congruamente motivata attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accesso“.

Quando la cartella esattoriale costituisce il primo atto attraverso il quale si chiedono degli interessi, il documento, oltre all’importo monetario richiesto, deve anche riportare la base normativa relativa agli interessi reclamati e la decorrenza dalla quale gli interessi accessori devono essere corrisposti. Non è necessario, invece, indicare la specificazione dei singoli saggi che vengono applicati periodicamente o le eventuali modalità di calcolo.

È anche vero che, in alcuni casi, la fonte normativa può essere desunta implicitamente individuando la tipologia e la natura degli interessi, che sono oggetto diretto della pretesa o del tipo di interesse al quale questi accedono. Nel caso in cui ci sia un controllo automatizzato, le Sezioni Unite hanno chiarito che

il riferimento agli elementi della dichiarazione – quadro, modulo, rigo, periodo di riferimento, data degli eventuali versamenti tardivi- esonera l’amministrazione dall’onere motivazionale in ordine all’obbligazione relativa agli interessi (Cass., 8 marzo 2019, n. 6812, più volte cit.), limitatamente alla decorrenza dell’obbligazione che il contribuente può agevolmente individuare, mentre lascia inalterata la necessità che l’emittente la cartella fornisca l’indicazione del parametro normativo in base al quale l’amministrazione ha proceduto al computo degli interessi indicati in cartella.