Usa fuori dall’Unesco, Trump contro le posizioni “woke” dell’agenzia

Trump parla di antisemitismo e wokismo e dice per la terza volta addio all'Unesco. Deve ancora pagare le quote di due anni per oltre 600 milioni

Foto di Giorgia Bonamoneta

Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Pubblicato:

Per la terza volta nella storia dell’agenzia Unesco, gli Stati Uniti hanno deciso di abbandonarla. L’annuncio è stato concretizzato il 22 luglio con un comunicato da parte del Dipartimento di Stato americano. Non è il primo grande abbandono degli Stati Uniti da organizzazioni delle Nazioni Unite, come accaduto con l’Organizzazione mondiale della sanità o il Consiglio per i diritti umani, ma anche di altri trattati importanti come l’accordo di Parigi sul clima e gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

Donald Trump mette l’America prima di tutto e, in questo caso specifico, la scelta si riferirebbe a un presunto atteggiamento anti-americano e “woke” dell’agenzia. Fondamentale la posizione pro-Palestina e a favore dei diritti umani violati nella Striscia di Gaza dell’Unesco.

Usa si ritirano dall’Unesco: è la terza volta

Non c’è due senza tre e gli americani ci cascano di nuovo. È arrivata il 22 luglio 2025 la conferma da parte del Dipartimento di Stato della decisione di Donald Trump di rompere con l’Unesco. Si tratta della seconda volta in meno di un decennio e della terza volta che accade dal dopoguerra a oggi.

L’allontanamento dall’Unesco da parte degli Stati Uniti prosegue una serie di altri abbandoni notevoli come l’Oms o l’accordo di Parigi sul clima.

In particolare Trump aveva formalizzato il ritiro dall’Unesco già nel 2017, dopo che sotto la presidenza di Barack Obama erano stati interrotti i finanziamenti nel 2011. Il motivo? L’ammissione della Palestina all’Unesco come Stato membro.

La decisione attuale non sembra discostarsi troppo e ancora una volta gli Stati Uniti si allontanano per divergenze anti-americane e, senza farsi mancare la parola del momento, per “wokismo”.

Perché gli Usa hanno lasciato?

Formalmente, per giustificare l’uscita dall’Unesco, Donald Trump ha dichiarato che all’interno dell’agenzia esiste un pregiudizio anti-israeliano. Allo stesso modo, l’atteggiamento sarebbe anti-americano e “woke”. Secondo Donald Trump, infatti, l’agenzia promuoverebbe cause divisive, incompatibili con l’amministrazione Trump: equità di genere e inclusione, posizione apertamente pro-Palestina e pro-Cina.

Ma l’agenzia era pronta e la direttrice generale Audrey Azoulay ha commentato:

Nonostante il primo ritiro del presidente Donald Trump nel 2017, l’Unesco ha intensificato i suoi sforzi per agire ovunque la sua missione possa contribuire alla pace e ha dimostrato la natura fondamentale del proprio mandato.

Ha quindi aggiunto che l’Unesco si è preparata, ben consapevole che sarebbe accaduto ancora, e che sa come reagire.

In una direzione completamente opposta, il presidente francese Emmanuel Macron ha deciso di annunciare attraverso i social il suo supporto all’agenzia.

Gli Usa devono pagare

Il secondo abbandono dall’Unesco è avvenuto durante la presidenza di Barack Obama nel 2011, anche se è stato formalizzato solo nel 2017 con l’amministrazione Trump. Così tra il 2011 e il 2017 gli Stati Uniti rimasero all’interno dell’Unesco, ma non pagarono le quote annuali. Continuarono però a essere membri del consiglio esecutivo e a svolgere un ruolo attivo all’interno della politica dell’organizzazione.

Per questo, nel 2017, quando lasciarono formalmente l’agenzia, avevano ormai accumulato un debito di oltre 600 milioni di dollari. Un debito che a oggi non è ancora stato pagato e probabilmente non lo sarà mai.

Nel 2023 fu Joe Biden a volere il ritorno degli Stati Uniti all’interno dell’Unesco, ma nel 2025 la situazione è tornata a favore di Trump e della sua politica isolazionista. Ha così istituito una commissione per verificare se l’Unesco agisce secondo interessi americani, una verifica che l’agenzia non ha superato.

Inoltre, i rappresentanti americani all’interno degli organi dell’Unesco hanno praticato ogni forma di opposizione e boicottaggio alle decisioni relative a temi che l’amministrazione Trump definiva “divisi”. Tra questi l’uguaglianza di genere, la lotta contro il razzismo, la promozione della storia della schiavitù, i diritti delle persone lgbt e il sostegno alla causa palestinese.

Il bilancio dell’agenzia e il ruolo Usa

La decisione di uscire dall’Unesco si inserisce nel piano di tagli e risparmi fortemente voluto dagli Stati Uniti. L’uscita formale avverrà soltanto il 31 dicembre 2026 e per questo gli Stati Uniti dovrebbero quantomeno pagare le quote del 2025 e del 2026 (senza tenere conto degli anni precedenti).

La loro quota all’interno del bilancio dell’agenzia è del 22%, quindi sono il principale contribuente. Il valore della loro quota è di circa 600 milioni di dollari per biennio e l’assenza di una simile cifra farà sicuramente traballare l’Unesco che, come annunciato, si stava già preparando all’uscita degli Usa.

Più che un problema economico, che comunque ci sarà, gli Stati Uniti sono uno dei Paesi fondatori dell’Unesco e la loro uscita è principalmente simbolica, come molte delle decisioni che sta prendendo l’amministrazione Trump.