Afghanistan, cosa succede: il ritorno dei talebani e il fallimento dell’Occidente

L'Afghanistan non esiste più. O almeno, non esiste più questo nome. Nessuno si aspettava una resa così rapida

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

L’Afghanistan non esiste più. O almeno, non esiste più questo nome. Nessuno si aspettava una resa così rapida. La capitale Kabul – circa 4 milioni e mezzo di abitanti – è caduta in poche ore, il presidente Ghani è fuggito all’estero, prima in Tagikistan e poi in Uzbekistan, “per evitare ai cittadini un bagno di sangue” ha detto; i diplomatici avevano già iniziato a lasciare gli uffici nei giorni scorsi. Dopo 20 anni di guerra il Paese torna in mano ai talebani.

La nuova offensiva talebana è partita a maggio 2021: in poche settimane le milizie islamiche hanno falciato via tutto. Le forze NATO si sono ritirate, l’esercito regolare si è disfatto, nessuna alleanza straniera è intervenuta con nuove missioni di peacekeeping, o perlomeno di cessate-il-fuoco. Con pochi combattimenti, i talebani hanno riconquistato il potere a piene mani.

Abbiamo tutti negli occhi le drammatiche immagini degli afghani che si riversano all’aeroporto di Kabul, sulle piste, folle impaurite e disorientate. Uomini agganciati in qualche modo agli aerei che decollavano.

I “falling men” che poi sono stati, inevitabilmente, scaraventati via dalla forza dell’aereo in quota. Il C-17 Usa decollato con 640 rifugiati stipati nella pancia del cargo, portati in salvo in Qatar. Invece di far intervenire i militari per allontanare quelle persone – uomini, donne e bambini che non avrebbero dovuto trovarsi a bordo – l’equipaggio ha deciso di partire, e salvare tutti i civili.

Afghanistan, le cause di una caduta così repentina

Come scrive bene l’ISPI-Istituto di Politica Internazionale, “la vittoria e il ritorno dei talebani alla guida del Paese dipende in ultima analisi dalla debolezza delle forze armate, nonostante 2mila miliardi di dollari stanziati in vent’anni per addestramento ed equipaggiamenti, e dalla mancanza di legittimità delle istituzioni afghane”.

Non solo. La firma dell’accordo di Doha nel febbraio 2020, progettato dall’amministrazione Trump con l’esclusione di fatto del governo afghano, “ha demoralizzato molte forze afgane, rafforzando gli impulsi corrotti di molti funzionari e la loro debole lealtà al governo centrale”. “Molti hanno visto in quel documento l’inizio della fine”, ha confidato al Washington Post un ufficiale dell’esercito “e ognuno ha cominciato a badare solo a se stesso. Era come se gli Usa ci avessero abbandonato”.

La nuova era dei talebani

L’Afghanistan non esiste più. Ora si chiama Emirato Islamico dell’Afghanistan. Dal 15 agosto 2021, il presidente de facto è il mullah Abdul Ghani Baradar. La struttura del nuovo governo è ancora da definire, ma dovrebbe esserci una guida completamente islamica e “tutte le parti dovrebbero partecipare”.

Anche le donne, dicono. Silenziate, torturate, stuprate, coperte, piegate al volere degli uomini per anni sotto il crudo regime talebano, ora potrebbero ricoprire ruoli governativi? L’Emitato islamico “non vuole che le donne siano vittime. Dovrebbero essere nella struttura del governo in base alla sharia”. Queste le parole riportate da al-Jazeera e dalla turca Trt pronunciate dal rappresentante della “commissione cultura” dei talebani Enamullah Samangani. Un’apertura questa, alle donne, puramente propagandistica.

Afghanistan, la presa di potere dei talebani nel 1996

È bene ricordare cosa accadde in quel lontano 1996, quando i talebani presero il potere in Afghanistan. L’ex presidente Najibullah fu torturato e impiccato ad un lampione, gli uomini obbligati a farsi crescere la barba, le donne a indossare il burqa, le scuole femminili vennero tutte chiuse.

Furono istituite le forze di “polizia morale” agli ordini dell’agenzia per la Promozione della virtù e l’eliminazione del vizio. Le donne che uscivano non accompagnate da uomini venivano picchiate per strada. Vietatissimo andare in bicicletta. Il calcio e la musica furono banditi.

La sharia divenne legge. L’Afghanistan divenne sempre più un “narcostato”, come l’ha definito Roberto Saviano. Kabul divenne l’epicentro di uno stato violento, repressivo e rifugio dei terroristi di tutto il mondo. Lo stadio cittadino iniziò ad essere usato per le esecuzioni pubbliche.

Afghanistan, l’invasione Usa e la missione internazionale

Fino al 2001, quando, all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, gli americani invasero il Paese, perché li si trovava il presunto responsabile degli attacchi terroristici, il temibile Osama Bin Laden.

Ma non dimentichiamo che già prima dell’intervento militare del 2001, gli Stati Uniti a guida Bill Clinton avevano lanciato missili cruise contro l’Afghanistan in risposta agli attentati del 1998 contro le ambasciate Usa di Nairobi e Dar es Salaam.

Una guerra vuota quella in Afghanistan – ma piena di denari, armi e droga – combattuta per dare una risposta immediata al terrorismo, a tutti gli occidentali che si sentivano attaccati. Per “portare la democrazia”, si disse. Ma che ha generato solo un turbine infinito di fame, distruzione, morte, e altro terrorismo. Tra i militari impegnati nelle missioni internazionali, sono caduti 53 italiani. L’Afghanistan è senza dubbio uno dei più grandi fallimenti dell’Occidente.

Afghanistan, l’Occidente cosa fa?

Sul fronte internazionale il presidente Usa Biden è stato travolto dalle critiche e accusato di una “disfatta epocale”. “La nostra missione in Afghanistan non è mai stata pensata per costruire una nazione, eravamo lì per combattere il terrorismo” prova a difendersi.

Intanto, il presidente francese Macron ha annunciato l’invio di due aerei militari e di forza speciali. Il ministro degli Esteri italiano, il “nostro” Luigi Di Maio, invece si fa “paparazzare” in spiaggia a Porto Cesareo con il presidente della Puglia Emiliano e il ministro Boccia, e rispettive consorti. La più grande crisi internazionali degli anni 2mila si consuma, e il ministro degli Esteri pensa di gestirla al telefono dal bagnasciuga.

Afghanistan, gli scenari futuri

E adesso? Cosa succederà? Ciò che balza agli occhi subito è l’assenza di una strategia comune. Vedremo cosa uscirà dal Consiglio di sicurezza Onu e la riunione straordinaria dei ministri degli Esteri Ue. Ma, sottolinea l’ISPI, “se l’obiettivo è quello di compattarsi contro un riconoscimento del governo che i talebani si apprestano ad annunciare, potrebbe essere già troppo tardi”.

“I talebani post 2001 hanno provato di essere diventati un’organizzazione più politica, capace di imparare, più aperta all’influenza di fattori esterni”, ha scritto Thomas Ruttig in un’analisi per il Combating Terrorism Center di West Point. “Molti leader talebani hanno trascorso più di un decennio in Pakistan o nel Golfo, ciò ha enormemente ampliato i loro orizzonti rispetto ai loro trascorsi provinciali nel sud dell’Afghanistan”, notavano già nel 2016 Borhan Osman e Anand Gopal nel saggio “Taliban Views on a Future State”. E dunque non è detto che si ritorni esattamente allo stato di cose del 1996.

Intanto la Cina, che con l’Afghanistan confina, ha già fatto sapere di rispettare il diritto del popolo afghano a determinare in modo indipendente il proprio destino ed è disposta “a continuare a sviluppare relazioni amichevoli e di cooperazione”. E ha già iniziato a incontrare l’Iran per discutere degli sviluppi economici futuri.

Secondo gli analisti anche la Russia opterà per un approccio “pragmatico” in chiave anti-terrorismo, con il nuovo governo talebano. D’altronde Pechino ha già detto: “Il ruolo degli Usa è distruggere, non costruire”.

Senza dubbio, ciò a cui assisteremo è una valanga umana di profughi che proverà in ogni modo a lasciare il Paese. Per la quale serviranno, per anni, ancora ingenti aiuti umanitari.