Secondo gli esperti del settore energetico, il 2022 rischia di passare alla storia come uno degli anni più difficili per l’economia del nostro Paese, almeno per quello che riguarda l’ultimo trentennio. Lo sa bene Mario Draghi, che ha lasciato Palazzo Chigi dopo venti mesi di presidenza del Consiglio in cui ha dovuto gestire una serie impressionante di emergenze che stanno creando non pochi problemi al nostro sistema finanziario, economico e sociale. Quella del suo governo – e, in particolare, del ministro Daniele Franco – è stata una continua ricerca di fondi e risorse per coprire i tanti provvedimenti approvati per aiutare milioni di famiglie e migliaia di imprese.
La stessa Giorgia Meloni, che si appresta a presiedere il prossimo esecutivo di centrodestra dopo le tensioni con gli alleati di Forza Italia che hanno caratterizzato le ultime settimane, è consapevole dell’estrema difficoltà che troverà sul proprio cammino nell’affrontare le prossime sfide che l’Italia non può trascurare. Se da un lato appare come prioritaria la questione che riguarda il folle rincaro dei costi per pagare le bollette dell’energia elettrica, non può essere considerato come archiviato nemmeno il capitolo inerente alle forniture di gas metano per il nostro Paese e per tutti gli Stati membri dell’Unione europea.
Prezzo del gas, le mosse del governo uscente e le sfide che attendono la nuova premier Giorgia Meloni
Ormai da parecchio tempo (e con risultati alterni, da molti giudicati assai scadenti) i leader delle 27 nazioni stanno cercando di trovare un accordo sull’introduzione di un tetto al prezzo del gas. Uno strumento che permetta alle aziende del settore attive nel Vecchio Continente di acquistare la materia prima ad un prezzo calmierato rispetto a quanto successo in estate, quando i continui ricatti di Vladimir Putin hanno fatto schizzare alle stelle la soglia di spesa per le compagnie acquirenti. Un meccanismo che si è ripercosso in maniera inevitabile sulle tasche dei cittadini e delle industrie.
Le incomprensioni tra i Paesi più intransigenti (con in testa Germania e Olanda) e la maggior parte degli altri Stati membri si sono affievolite solamente nell’ultimo periodo e, in particolare, durante gli ultimi due vertici istituzionali. Il primo, tenutosi a Praga, ha visto la partecipazione di tutti i ministri europei che si occupano della Transizione ecologica (per l’Italia era presente Roberto Cingolani) e in questa sede sono state poste le basi per l’accordo raggiunto poi nel successivo Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre, quando il price cap è stato approvato dopo lunghe sfibranti ore di trattative, condotte in maniera equidistante dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
L’uscita di scena di Mario Draghi e le consegne per il nuovo governo: tutte le sfide sul prezzo del gas
Per il premier Mario Draghi si è trattato dell’ultimo adempimento necessario prima di passare il testimone alla leader di Fratelli d’Italia, che ora dovrà impegnarsi con ancora più determinazione sui due fronti caldi che sono rimasti irrisolti nella questione del gas. Stando ai consigli che lei stessa avrebbe chiesto al presidente uscente prima di insediarsi, la prima cosa da fare sarà quella di monitorare che i firmatari dell’accordo rispettino quanto hanno sottoscritto e non vadano alla ricerca di strade alternative per ottenere il gas metano da Mosca, acquistandolo ad un prezzo agevolato (cosa che purtroppo si è già verificata negli scorsi mesi con gli accordi tra Berlino e la multinazionale Gazprom, tramite il gasdotto Nord Stream I).
Per fare ciò, Giorgia Meloni si avvarrà del contributo del proprio ministro degli Esteri (Antonio Tajani, braccio destro di Silvio Berlusconi, che nel governo ricopre anche il ruolo di vicepremier) e di quello degli Affari Europei (Raffaele Fitto, fedelissimo della premier). Ma, in secondo luogo, la nuova titolare dell’esecutivo avrà anche il compito di scardinare alcune dinamiche insite nel meccanismo che governa l’Unione europea: stiamo parlando di diversi accordi, poi divenuti prassi, che hanno creato forti disparità tra i Paesi membri e chi invece, come la Norvegia, da sempre è rimasta in quella posizione borderline che gli permette di intrecciare rapporti e stringere accordi anche molto vantaggiosi con Bruxelles.
Il caso della Norvegia, che continua a guadagnare miliardi di euro vendendo il gas agli Stati europei
Secondo i dati rielaborati e diffusi da Eurostat, i guadagni della Norvegia per l’esportazione di gas verso il territorio dell’Unione europea sono cresciuti in maniera esponenziale nel corso degli ultimi anni. Se nel 2020 le entrate di Oslo erano pari a circa due miliardi di euro, nel 2021 il dato era già cresciuto a quota sei miliardi, per poi esplodere del corso di quest’anno: solamente nei primi sei mesi del 2022, i ricavi per la vendita di gas nel Vecchio Continente si attestano sui 10 miliardi di euro. Una valore che, sempre secondo l’istituto di statistica europeo, potrebbe anche raddoppiare entro la fine di dicembre. I profitti, dunque, si sarebbero decuplicati nel giro di due anni.
Intervistato da diverse testate giornalistiche, il presidente norvegese Jonas Gahr Støre ha risposto in maniera assai ambigua a chi gli ha fatto notare come il suo Paese si starebbe approfittando della situazione causata dal conflitto in corso in Ucraina. Raggiunto (assieme ad altri colleghi) dal vicedirettore del Corriere della Sera Federico Fubini, il premier di Oslo ha dichiarato che “non è il governo norvegese a vendere il gas, ma le compagnie nazionali ed internazionali a cui sono state concesse le licenze per operare sulla piattaforma continentale presente in Norvegia“. Ha tenuto a specificare come il tutto si sia svolto “in piena conformità con le regole pubbliche”.
Eppure, rimangono scolpiti come nella pietra i dati citati in precedenza e provocano un sentimento di ingiustizia se rapportati alle spese sanguinose che milioni di italiani stanno sostenendo per saldare i prezzi delle bollette. Ma il primo ministro Støre pare essere convinto delle proprie tesi anche quando ammonisce i Paesi membri in merito alle prospettive future: “Per l’Unione europea la cosa migliore che può accadere è che Oslo continui a produrre ed esportate gas in maniera sempre crescente. Solo così – conclude il presidente, che è anche leader del Partito Laburista norvegese – il costo può continuare a scendere ma, soprattutto, solo così potrà essere raggiunta davvero in tempi brevi una completa indipendenza dalle forniture del Cremlino“.