Auto, come chiedere il risarcimento dopo la truffa

La recente decisione della Corte di Giustizia europea potrebbe inguaiare le Case automobilistiche tedesche coinvolte nello scandalo Dieselgate del 2015

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

Il caso Dieselgate è stato uno dei maggiori scandali nel settore automotive dell’ultimo decennio. A otto anni dal polverone, sembra muoversi qualcosa. Un nuovo capitolo, infatti, è pronto a essere scritto dopo la decisione presa dalla Corte di Giustizia europea che ha stabilito che gli Stati membri dovranno prevedere un diritto al risarcimento da parte del costruttore per chi ha comprato un veicolo con impianto vietato di manipolazione delle emissioni.

Dieselgate, la decisione sul risarcimento

Da qualche giorno, infatti, non si fa che parlare della decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea che si è pronunciata su un ricorso per risarcimento danni promosso da un cittadino nei confronti della Mercedes-Benz Group. Questo aveva fatto causa al marchio tedesco per farsi risarcire il presunto danno che il gruppo avrebbe causato dotando il veicolo diesel di un software che ridurrebbe il tasso di ricircolo dei gas di scarico, quando le temperature esterne scendono sotto una certa soglia.

I giudici Ue hanno quindi emesso una sentenza che ha riaperto, fosse stato mai chiuso, lo scandalo Dieselgate, decidendo che l’acquirente di un veicolo a motore dotato di un impianto di manipolazione illecito deve beneficiare di un diritto al risarcimento da parte del costruttore dell’automobile, qualora l’impianto abbia causato un danno all’acquirente.

“Oltre agli interessi generali, il diritto dell’Unione tutela anche gli interessi particolari del singolo acquirente di un veicolo a motore nei confronti del costruttore qualora tale veicolo sia dotato di un impianto di manipolazione vietato”, sostengono i giudici nella sentenza che rischia di costare parecchio ai costruttori tedeschi. La Corte ha concluso che la direttiva quadro stabilisce un collegamento diretto tra il costruttore di automobili e il singolo acquirente di un veicolo a motore volto a garantire a quest’ultimo che il veicolo sia conforme alla normativa pertinente dell’Unione.

La Corte ha quindi lasciato carta bianca agli Stati membri, che saranno tenuti a prevedere che l’acquirente di un simile veicolo benefici di un diritto al risarcimento da parte del suo costruttore. Data la mancanza di disposizioni del diritto dell’Unione che disciplinino le modalità di risarcimento, spetterà a ciascuno dei 27 determinarle e non sarà possibile aggirare il diktat della Corte, in quanto la normativa nazionale non può rendere impossibile o eccessivamente difficile l’ottenimento di un adeguato risarcimento dei danni causati all’acquirente. Secondo quanto rilevato dalla Corte di Giustizia europea può essere anche previsto che i giudici nazionali vigilino affinché non ci sia “un indebito arricchimento degli aventi diritto”.

Scandalo dieselgate, cosa è successo

Ma cos’è lo scandalo Dieselgate e come siamo arrivati fin qui? Il caso è scoppiato nel settembre 2015 quando l’Epa, Environmental protection agency (Agenzia per la protezione dell’ambiente) fece alcuni riscontri da cui risultava che la Volkswagen aveva installato illegalmente un software nella centralina per aggirare le norme ambientali sulle emissioni delle vetture diesel.

L’Agenzia trovò che la Volkswagen avesse intenzionalmente progettato i propri motori diesel Turbocharged Direct Injection affinché attivassero i sistemi di controllo delle emissioni solamente durante i test di controllo delle emissioni, facendo risultare l’emissione di ossidi di azoto (NOx) dei veicoli nei limiti prescritti dalla legislazione statunitense quando, invece, non era così.