Consob, come investono gli italiani e dove si informano: preoccupano i social

In cosa investono gli italiani e come si informano sul mondo della finanza? Il nuovo rapporto Consob è estremamente interessante

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Pubblicato: 30 Luglio 2024 13:17

Il rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane è molto interessante. Giunti alla nona edizione, si fa luce su un iniziale cambiamento di trend. Per la prima volta, inoltre, si approfondisce anche il tema delle fonti di informazione sfruttate dagli investitori retail.

Il portafogli degli investitori italiani

Stando a quanto evidenziato dal rapporto, gli investitori italiani si concentrano quasi esclusivamente su certificati di deposito e buoni fruttiferi postali. A seguire troviamo poi i titoli di Stato, in questa particolare classifica, così come fondi comuni di investimento e obbligazioni.

La composizione del portafogli standard nostrano è alquanto tradizionale, dunque. Al tempo stesso, però, il rapporto Consob evidenzia un trend di particolare interesse. Cresce infatti la presenza di criptoasset. Tra il 2022 e il primo trimestre del 2024, infatti, la percentuale degli intervistati che ha ammesso d’avere criptovalute nel proprio portafogli è di fatto più che raddoppiata. Si è passati infatti dall’8% al 18%. Un rischio calcolato? Non proprio.

Sembra infatti che le costanti sponsorizzazioni relative al mondo cripto, sul web e in televisione, abbiano avuto un impatto concreto. Si investe in questo mondo spesso per moda, senza conoscere esattamente rischi e caratteristiche. Esiste ovviamente una percentuale consistente di investitori consapevoli, ma quella relativa ai soggetti attratti dalla “moda” è preoccupante. Ciò conduce direttamente a un altro tipo di analisi: cosa influenza le decisioni degli investitori italiani?

Investimenti: come si informano gli italiani

Il mondo della finanza è estremamente complesso e richiede l’affiancamento di soggetti qualificati, qualora non si abbiano le necessarie capacità. I primi passi però non vengono mossi in banca, prendendo appuntamento con dei consulenti. Si opera sul web, accumulando informazioni e, in alcuni casi, fidandosi di analisi truffaldine, che nascondono in realtà delle adv, ovvero delle campagne pubblicitarie.

Sul fronte dell’informazione, il rapporto evidenzia come i siti web istituzionali, specializzati o relativi a intermediari finanziari riconosciuti rappresentino ancora un mezzo particolarmente sfruttato. Rientra nella categoria “informarsi sul web” il 67% degli intervistati. Al secondo posto troviamo la televisione, che “istruisce” il 43%. Una consistente quota, pari al 36%, invece, ha indicato i social media (va da sé che le percentuali non corrispondano al 100% perché i soggetti si informano su più fonti differenti. Un singolo soggetto può dunque aver indicato più fonti). Carta stampata e testate on-line, invece, coinvolgono il 34%, mentre i siti delle istituzioni coinvolgono il 33%.

Come per qualsiasi tema, i social possono rappresentare un’opportunità e un rischio. Questi hanno una presa maggiore sui giovani tra i 18 e i 34 anni (58%), sulle donne (42% contro il 34% degli uomini), sui nuclei familiari con meno di 50.000 euro da gestire (41% rispetto al 33% di chi ha maggiori disponibilità economiche) e su chi ha un basso livello di educazione finanziaria (55% rispetto al 33% dei più istruiti).

Si riscontra, inoltre, come i social abbiano un impatto maggiore nella prima fase. Si accede al mondo finanziario tramite questa porta, per poi comprendere la necessità di affidarsi a soggetti professionali. Quando si arriva alla decisione finale su come investire, ovvero quando i soldi vengono messi in gioco, la percentuale di intervistati che si lascia guidare in toto dalle indicazioni ottenute sui social crolla al 3%. Una cifra comunque considerevole. Ciò non vuol dire necessariamente essere sprovveduti e, dunque, perdere il proprio capitale. Al tempo stesso, però, si tratta di potenziali prede per i fuffaguru. Un tema che necessiterebbe una campagna apposita da parte del governo.