In tempi antichi i colossi architettonici erano celebrati come meraviglie del mondo. Oggi, nell’era delle grandi infrastrutture, il Ponte sullo Stretto di Messina ambisce a entrare in quella stessa categoria simbolica. L’attuale governo presenta l’opera come un’infrastruttura destinata a entrare nella storia per le sue dimensioni record e per i potenziali impatti sull’economia e sulla mobilità nazionale.
Ma la grandiosità del progetto va di pari passo con la sua capacità di spaccare territori, cittadini e comunità scientifica. Da un lato c’è chi intravede nel ponte un’occasione irripetibile di crescita, capace di attrarre investimenti e ridisegnare le rotte dei trasporti nel Mediterraneo.
Dall’altro emergono timori legati ai costi, ai rischi ambientali, alle difficoltà tecniche e a una gestione percepita come poco trasparente, col rischio di infiltrazioni mafiose.
Alle cifre sui pedaggi si sommano le contestazioni delle comunità locali, i dubbi di economisti e accademici, e persino le critiche arrivate dalla stampa internazionale, come l’inchiesta del Financial Times.
Indice
Le proporzioni e i numeri record del Ponte sullo Stretto
L’Odissea parlava di due mostri marini, Scilla e Cariddi. Oggi, al loro posto, il progetto del Ponte sullo Stretto immagina un gigante sospeso che li scavalca:
- 3.300 metri di campata centrale;
- 3.666 metri complessivi;
- torri alte 399 metri;
- una capacità dichiarata di 6.000 veicoli l’ora e 200 treni al giorno.
Lo studio di Tplan Consulting stima un incremento del traffico dell’1% annuo fino al 2062, oltre il 30% complessivo. Ma il Dipartimento per la programmazione economica ricorda che, con la popolazione del Sud in calo del 32% entro il 2070, previsioni simili appaiono ottimistiche.
Tplan ribatte che la crescita dipenderà più dal turismo e dalle connessioni nazionali che da demografia e Pil locale. Il Ministero delle Infrastrutture fa propria la tesi. Ma sarà veramente un investimento strategico o c’è il rischio di una cattedrale nel deserto?
C’è anche un altro problema, l’incognita del costo del pedaggio: se da una parte il governo promette un costo massimo di 10 euro, gli analisti prevedono prezzi fino a 60 volte più cari rispetto al costo dell’autostrada.
Quanto costerà la realizzazione
Ci vorranno circa 7 anni per completare il Ponte, esattamente il tempo che gli antichi greci hanno utilizzato per costruire il basamento e le colonne del Partenone di Atene. Il costo previsto sfiora i 13,5 miliardi di euro.
A Webuild ne andranno 10,5, suddivisi tra oltre 9 miliardi per i lavori e circa 1,2 per spese tecniche, sicurezza e misure di compensazione territoriale. Altri 1,9 miliardi finiranno sotto la gestione diretta del committente, cioè la Società pubblica Stretto di Messina spa, destinati a controlli, bonifiche, vigilanza e indagini archeologiche. Secondo Open Economics, l’impatto sull’economia nazionale potrebbe arrivare a generare oltre 23 miliardi di euro di valore aggiunto.
Il fronte del no tra espropri e ambiente
Accanto ai dati economici e ingegneristici, cresce l’opposizione delle comunità locali. A Torre Faro, molti residenti temono di perdere le proprie case per gli espropri. “Ho fatto sacrifici per comprarla, se la distruggono distruggono anche me”, riporta il Financial Times che ha intervistato le persone del luogo. Il problema degli espropri non è di poco conto, per la costruzione del Ponte circa 4000 persone saranno costrette ad abbandonare per sempre le proprie abitazioni.
Gli abitanti citano i rischi ambientali e sismici dello Stretto, ricordando il terremoto del 1908. WWF, Legambiente e Greenpeace hanno portato la questione a Bruxelles, denunciando violazioni delle direttive europee su biodiversità e migrazione aviaria.
Anche a Villa San Giovanni la sindaca Giusy Caminiti denuncia il rischio di una città divisa e paralizzata, mentre il calo dei flussi dei traghetti negli ultimi vent’anni alimenta i dubbi sull’utilità stessa del ponte.
La paura di infiltrazioni mafiose
Per molti, il Ponte sullo Stretto rischia di assomigliare a un moderno Cavallo di Troia: presentato come simbolo di progresso, ma capace di aprire le porte a interessi opachi.
Non è un timore recente: già nel 1998 la Dia segnalava l’attenzione di ’Ndrangheta e Cosa Nostra, e nel 2005 l’Antimafia avvertiva il Parlamento sui pericoli concreti di infiltrazioni negli appalti. Negli anni successivi diversi rapporti hanno confermato che le grandi opere rappresentano una delle principali occasioni di penetrazione per le cosche, attratte dai flussi di denaro pubblico e dalla rete di subappalti.
Oggi il settore edilizio resta tra i più esposti. Infatti, scrive Reuters, che l’edilizia italiana nel 2024 ha concentrato il 38% delle azioni preventive antimafia, e i subappalti rappresentano il varco più vulnerabile. Secondo la Dia, solo nell’ultimo anno oltre 5.000 interdittive hanno colpito aziende sospettate di legami con la criminalità organizzata, quasi quattro su dieci legate proprio alle costruzioni.
Anche gli espropri aggiungono tensione: tra Messina e Villa San Giovanni sono circa 448 gli immobili coinvolti, con oltre 400 famiglie interessate.
Il Governo e la task force di controllo antimafia
Il Governo ha annunciato una task force di controllo, ma in ogni caso, senza la dovuta trasparenza, un’infrastruttura da miliardi di euro rischia di trasformarsi in un moltiplicatore di costi occulti e in un regalo alle mafie più che a cittadini e territori.
E, in ogni caso, questo non sembra preoccupare il ministro Salvini. Nel difendere l’opera, il ministro delle Infrastrutture ha liquidato le preoccupazioni sulle infiltrazioni mafiose dicendo:
Se si dovesse non fare il ponte perché ci sono mafia e ’Ndrangheta allora non facciamo più niente.
Una battuta che sembra ignorare decenni di allarmi istituzionali, come se la criminalità organizzata fosse un dettaglio folkloristico da trilogia americana con le teste di cavallo sul letto. Sul tema dei controlli, lo scontro con il Quirinale ha già costretto a modificare le norme speciali che rischiavano di essere meno stringenti di quelle ordinarie.
Resta il fatto che a fronte di miliardi di denaro pubblico, il governo offre protocolli di vigilanza mutuati da Expo e Olimpiadi. E così, alla fine abbiamo in cantiere un ponte che corre il rischio di diventare anche monumento alla retorica, prima ancora che alle infrastrutture.