Manovra, corsa contro il tempo: pensioni e nodi da sciogliere

Legge di Bilancio 2025: pensioni a 64 anni con previdenza integrativa, escluso l’aumento ai parlamentari, ma l'attuazione è ancora complessa

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 18 Dicembre 2024 08:12

La Legge di Bilancio per il 2025, al centro del dibattito politico di fine anno, promette cambiamenti significativi. Mentre il Parlamento si affanna per approvarla entro il 31 dicembre, un emendamento già approvato alla Camera accende il dibattito sul futuro delle pensioni. L’emendamento, a firma della deputata leghista Tiziana Nisini, introduce la possibilità di anticipare il pensionamento a 64 anni grazie a un ponte tra previdenza obbligatoria e complementare, ma con regole che rischiano di escludere molti lavoratori.

Tra le misure discusse, è ormai certo che l’aumento degli stipendi ai parlamentari, che aveva fatto tanto discutere, è stato escluso dalla Manovra.

Decreti attuativi: il fardello delle vecchie manovre

Il cammino della Legge di Bilancio non si ferma all’approvazione parlamentare. Dietro le quinte, restano da smaltire decine di decreti attuativi legati non solo alla manovra in discussione, ma anche a quelle degli anni passati. Il Sole24Ore a questo proposito fa notare che al 6 dicembre 2024, infatti, si contano ancora 42 provvedimenti attuativi da completare per le leggi di bilancio varate dal governo Meloni. Se si sommano i ritardi delle precedenti legislature, il conto sale a 56 atti rimasti in sospeso. Una montagna di norme che rischia di rallentare anche l’entrata in vigore delle nuove misure previste per il 2025.

Oltre all’emendamento sulle pensioni, il testo della Legge di Bilancio include 48 provvedimenti attuativi, un numero destinato a crescere con l’approvazione di ulteriori emendamenti. La loro attuazione, spesso complessa, rischia di prolungare l’attesa per le misure promesse. Nel frattempo, la corsa contro il tempo continua, tra contraddizioni irrisolte e un sistema previdenziale che fatica a trovare il giusto equilibrio tra flessibilità e sostenibilità.

Cgil all’attacco: “Misura che peggiora la situazione”

Un emendamento alla Legge di Bilancio 2025, firmato dalla deputata della Lega Tiziana Nisini, propone un cambio di marcia nel sistema pensionistico italiano. L’idea è semplice quanto ambiziosa: combinare la previdenza obbligatoria con quella complementare per andare in pensione a 64 anni. Un piccolo terremoto normativo che potrebbe aprire nuovi scenari per molti lavoratori.

Per la Cgil, però, l’emendamento è più fumo che arrosto. Lara Ghiglione, segretaria confederale, si è espressa con parole dure sulla questione: “Sulle pensioni questo Governo insiste con una visione miope. Gli emendamenti alla Legge di Bilancio non affrontano le ingiustizie strutturali del sistema, certificando che la Legge Fornero rimane l’unica via d’uscita per i pensionamenti di oggi e di domani”.

Il nodo, secondo Ghiglione, è l’importo soglia, già di per sé proibitivo. Dal 2025 saranno necessari 25 anni di contributi per accedere a questa modalità di pensionamento, che diventeranno 30 entro il 2030. Inoltre, l’assegno minimo dovrà raggiungere 3,2 volte l’assegno sociale, circa 1.710 euro, 400 in più rispetto al 2022. “Invece di risolvere il problema, si aggiungono ostacoli”, denuncia la sindacalista.

Anticipo pensionistico e ponte integrativo: cosa cambia

Per i lavoratori “interamente contributivi”, ovvero coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, la nuova norma introduce un canale che permette di utilizzare la rendita della pensione complementare per colmare la soglia di tre volte l’assegno sociale. Questa opportunità, tuttavia, porta con sé nuovi vincoli. Dal 2025, i contributi richiesti saliranno da 20 a 25 anni, per arrivare a 30 anni dal 2030. Un ulteriore dettaglio riguarda le lavoratrici madri, per le quali sono previsti “sconti” sui requisiti grazie alla presenza di figli.

Chi non sfrutterà il ponte con la previdenza integrativa potrà comunque andare in pensione a 64 anni, ma con il requisito invariato di 20 anni di contributi. Una differenziazione che rischia di penalizzare chi non ha avuto accesso a strumenti di risparmio integrativo.

Il peso delle nuove regole per donne e precari

Le lavoratrici part-time e i precari rischiano di essere esclusi da queste opportunità. Con stipendi bassi e carriere discontinue, accumulare contributi sufficienti o accedere alla previdenza complementare è un miraggio per molti. Secondo la Cgil, le nuove soglie sono “lontane dalla realtà” e, in particolare per le donne, amplificano le difficoltà.

Il Carroccio punta ad ampliare ulteriormente la platea dei beneficiari nella prossima Legge di Bilancio, includendo anche chi è in regime “misto”, ovvero coloro che hanno iniziato a lavorare prima del 1996. Se approvata, questa estensione potrebbe interessare fino a 80mila persone, ma a un costo potenzialmente superiore al miliardo di euro.

Mentre il Governo celebra questo emendamento come un passo avanti nella flessibilità previdenziale, le perplessità non mancano. Se da un lato si creano nuove opzioni, dall’altro si ergono barriere che rischiano di escludere proprio chi ha maggior bisogno di un accesso anticipato alla pensione.