Si fa presto a dire mutuo, ma dove conviene chiedere per chi compra casa? Esistono infatti notevoli differenze territoriali, soprattutto fra Nord e Sud, in grado di far variare moltissimo il costo del finanziamento per una famiglia che acquista casa. Una fotografia è stata scattata dalla FABI, il sindacato dei bancari, che prende in considerazione un finanziamento da 150.000 euro della durata di 25 anni.
Fra Catanzaro e Bologna 200 euro di differenza
In base allo studio condotto dalla FABI, Catanzaro il capoluogo di regione in cui un mutuo costa di più, con una rata mensile di 1.000 euro, mentre a Bologna si pagano 800 euro mensili, il costo più basso d’Italia, con ben 200 euro di differenza fra il massimo ed il minimo.
Fra i principali capoluoghi di regione italiani, oltre ai due casi limite di Catanzaro e Bologna, si segnalano anche Milano, dove la rata mensile è di 841 euro, Roma di 821 euro, Napoli di 980 euro, Torino di 859 euro e Firenze di 906 euro.
Ma quali sono le regioni più convenienti?
In Italia esiste un enorme gap a livello regionale che supera ampiamente i due punti percentuali. Il tasso d’interesse medio praticato dalle banche in Molise è pari al 6,25%, il record in Italia, mentre in Emilia-Romagna gli interessi applicati ai prestiti immobiliari sono del 4,03%, i più bassi in Italia.
Oltre al Molise, il tasso medio sui nuovi mutui, rilevato a giugno scorso sulla base delle statistiche della Banca d’Italia, è superiore al 6% in altre tre regioni: Calabria (6,23%), Sicilia (6,14%) e Campania (6,02%).
Altre 10 regioni si posizionano nella forchetta tra il 5% e il 6%: Puglia (5,91%), Basilicata (5,87%), Abruzzo (5,65%), Sardegna (5,61%), Liguria (5,57%), Umbria (5,50%), Veneto (5,33%), Toscana (5,21%), Marche (5,20%), Trentino-Alto Adige (5,09%).
Sono sei le regioni con il tasso d’interesse medio sui prestiti immobiliari inferiore al 5%: Piemonte (4,68%), Valle d’Aosta (4,55%), Friuli-Venezia Giulia (4,50%), Lombardia (4,48%), Lazio (4,24%) ed Emilia-Romagna (4.03%).
Il tasso fisso scalza il variabile
I dati si riferiscono ai prestiti a tasso fisso, in questo momento appaiono più convenienti rispetto al “variabile”, perché il mercato ritiene che il livello del costo del denaro sia vicino al picco e, pertanto, ipotizza una discesa nel breve periodo (2-3 anni) sia del tasso di riferimento sia del livello dell’inflazione.
Il tasso variabile potrebbe essere meno vantaggioso anche in prospettiva, per una banca che eroga un finanziamento, a causa dell’inversione della curva dei tassi; una situazione – ricorda l’ufficio studi della FABI – che si è verificata l’ultima volta nel 2008, periodo della crisi dei mutui subprime e del fallimento di Lehman Brothers e, prima ancora, in occasione delle recessioni del 1990 e del 2001.