Fenice di Chiara Ferragni salvata dal fallimento con un aumento di capitale da 6,4 milioni

Dopo il crollo dei ricavi e le perdite legate al Pandorogate, Fenice viene salvata dal default. Via libera all’aumento di capitale, ma non tutti i soci sono d’accordo

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Pubblicato: 10 Marzo 2025 21:16

La società Fenice, legata al marchio di Chiara Ferragni, si salva dalla procedura fallimentare grazie all’approvazione di un aumento di capitale da 6,4 milioni di euro. La decisione è arrivata al termine dell’assemblea dei soci, convocata dopo i gravi danni economici causati dallo scandalo Pandorogate. La società, che nel 2023 aveva registrato ricavi per 12 milioni di euro, si è ritrovata nel 2024 con un fatturato crollato sotto i 2 milioni e perdite cumulate fino a 10 milioni di euro.

Il via libera alla ricapitalizzazione è arrivato grazie ai voti favorevoli di Sisterhood, la holding con cui Ferragni controlla il 32,5% di Fenice, e di Alchimia, la società di Paolo Barletta che detiene il 40%. Un patto di maggioranza che ha permesso di mettere in sicurezza l’azienda, mentre Pasquale Morgese – titolare del 27,5% – si è opposto, annunciando l’intenzione di impugnare il bilancio e la delibera sull’aumento.

Fenice si salva in extremis

L’assemblea ha approvato l’aumento di capitale proposto dall’amministratore unico Claudio Calabi, nominato dopo il terremoto giudiziario che ha coinvolto la società. Sisterhood e Alchimia hanno votato a favore e si sono impegnate a coprire l’intero aumento, garantendo così la continuità operativa della società.

In particolare, la holding di Ferragni sarebbe disposta a sottoscrivere anche la parte non coperta da Barletta. Il nuovo capitale servirà a ripianare le perdite di Fenice registrate nel biennio 2023-2024, stimate in circa 10 milioni di euro.

Tensioni tra i soci

Nonostante l’ok all’aumento, le tensioni interne restano forti. Pasquale Morgese, socio di minoranza con il 27,5%, non ha partecipato alla sottoscrizione e ha annunciato che impugnerà le delibere approvate in assemblea. La mancata adesione lo porterà a subire una diluizione della quota.

La frattura si era già aperta prima del Pandorogate, ma è esplosa con la crisi legata alle indagini della Procura di Milano. Morgese accusa Ferragni e gli altri soci di non aver gestito con trasparenza la crisi.

Dallo scandalo dei pandori al salvataggio

Tutto è qiondo iniziato nel 2022 con il Pandorogate: la collaborazione tra Ferragni e Balocco per il lancio dei Pandori “Pink Christmas” si è trasformata in un boomerang. La promessa di devolvere i ricavi a scopo benefico si è rivelata poco chiara: l’Antitrust ha sanzionato la pratica commerciale scorretta, mentre il Codacons ha presentato una denuncia per truffa aggravata.

Oltre al Pandoro, anche le uova di Pasqua griffate Dolci Preziosi hanno alimentato le polemiche. Nel 2024 Ferragni è stata rinviata a giudizio e la sua società ha subito il sequestro di conti e indagini fiscali. Nonostante un accordo con i consumatori per risarcire il danno d’immagine, Fenice ha visto i suoi ricavi crollare. Da qui la necessità di un aumento di capitale per evitare di portare i libri in tribunale.