Emanuele Felice, i libri principali dell’economista

L'analisi dell'economista Emanuele Felice: il suo pensiero sui divari regionali e, dunque, la questione meridionale

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Emanuele Felice è un ben noto economista, saggista e storico dell’economia. Oltre a svariati libri, ha collaborato come editorialista con numerosi giornali. Da La Stampa a La Repubblica, da L’Espresso all’attuale impegno con Domani. Una carriera molto proficua, che lo ha visto nel 2017, a soli 40 anni, ottenere ben quattro abilitazioni come professore ordinario: Politica economica, Economia applicata, Storia economica e Storia contemporanea.

Questione meridionale

Emanuele Felice è stato a lungo impegnato in un’opera di ricostruzione storica di quelli che oggi sono degli evidenti e devastanti divari regionali. Ha elaborato delle vere e proprie stime del PIP e della produttività regionale, a partire dall’Unità d’Italia e fino al dopoguerra. Analisi che ha inoltre tenuto conto di altri elementi cardine, come l’Indice di sviluppo umano.

Nei suoi editoriali si spiegano i tasselli di questa complessa opera sociale ed economica. Una delle teorie derivanti è la seguente: le classi dirigenti tendono ad attuare più facilmente strategie opportunistiche dove vi sono maggiori disuguaglianze interne e istituzioni estrattive. Tutto ciò frena la crescita, portando a una “modernizzazione passiva”. Tutto ciò è racchiuso in Perché il Sud è rimasto indietro, edito nel 2013, che gli ha donato una certa notorietà.

Storia economica d’Italia

Il libro successivo a quello dedicato alla questione meridionale ha come titolo Ascesa e declino. Storia economica d’Italia, edito nel 2015. In queste pagine, così come in svariati articoli specialistici, Emanuele Felice ha ampliato la sua analisi. Dal Sud è passato all’Italia in toto. Una visione d’insieme dell’assetto socio-istituzionale. Tutto ciò evidenziando le classi dirigenti che sono nate da tale condizione. Ciò indirizzato a spiegare la fase di declino economico che stiamo vivendo drammaticamente.

Un libro che ha suscitato svariati dibattiti sui quotidiani. Stando alle sue numerose analisi, l’Italia si è avviata in un percorso e ne è rimasta prigioniera, a partire dagli anni Settanta e Ottanta. Colpita duramente nel vivo da soluzioni attive sul breve periodo, per nulla lungimiranti, che hanno poi presentato il loro conto salato. Un modo per soddisfare i principali attori economici e politici del tempo, senza nessuna prospettiva.

Si è preferito ignorare la lungimiranza strategica, che avrebbe corso il rischio di porre in discussione i benefici esistenti. Il suo pensiero è che l’Italia abbia allora scelto una strategia di crescita non adatta agli standard di un Paese avanzato. Ciò si traduce nel puntare sul debito pubblico, la svalutazione del cambio e sulla rendita. Ciò invece di investire su ciò che crea innovazione tecnologica e mobilità sociale.

Un’impostazione rimasta quasi del tutto identica tanto negli anni Novanta quanto nei Duemila. L’entrata in vigore dell’euro è stata poi un durissimo colpo, perché si è pensato di poter competere con il resto dei Paesi membri svalutando il lavoro. Quest’ultimo è così divenuto sempre più precario, ponendo ancora una volta da parte il comparto dell’innovazione. Tutto ciò guidati da una classe politica che non ha voluto intervenire su ciò che era fondamentale per la crescita. Oggi l’Italia presenta gravi anomalie e tutto a causa di pubblica amministrazione, istruzione e ricerca e politiche per il Mezzogiorno.