Lo scorso 31 luglio l’Istat ha comunicato i dati che riguardano l’andamento del Pil italiano nel secondo trimestre del 2023, ossia nel periodo compreso tra aprile e giugno. Secondo quanto riportato dall’Istituto di statistica, il Prodotto interno lordo del nostro Paese è sceso dello 0,3% nell’arco temporale in oggetto, pur rimanendo su un complessivo +0,8% su scala annua. La flessione del parametro era stata ampiamente pronosticata sia da parte degli esperti di economia (le cui considerazioni sono apparse tanto sui nostri quotidiani nazionali, quanto sui maggiori tabloid all’estero), sia da parte dei soggetti bancari e finanziari di ogni ordine e grado.
L’inversione di tendenza del nostro parametro nazionale più significativo deriva da una serie di situazioni economiche, commerciali e relazionali che non coinvolgono solo le nostre dinamiche interne. Per giustificare la contrazione occorre infatti osservare anche ciò che sta avvenendo oltre confine, in particolare in Germania, che ancora oggi rappresenta la destinazione principale delle nostre esportazioni (per un valore annuo complessivo di merci che supera i 78 miliardi di euro). La crisi che Berlino sta vivendo a livello di compravendite internazionali rischia infatti di ingolfare le nostre imprese nel prossimo futuro.
Export verso Berlino in calo e tassi d’interesse sempre più alti: la combo che rischia di mettere in ginocchio l’Italia
Se, da un lato, è proprio il rallentamento dell’export verso la capitale tedesca a preoccupare il ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti, dall’altro basta spostarsi di poche centinaia di chilometri – precisamente a Francoforte, sede della Banca centrale europea – per trovare il secondo fattore di instabilità che sta mettendo in ginocchio la nostra tenuta sociale e finanziaria. In particolare, sono le politiche di continuo rialzo dei tassi di interesse a generare il panico tra le aziende e i contribuenti italiani: le scelte rigoriste della presidente Christine Lagarde rischiano infatti di abbattere la domanda di credito delle aziende, e con esse i loro investimenti produttivi.
Un aspetto sottolineato nelle ultime ore anche dal vicepremier Antonio Tajani, che ha invocato a gran voce uno stop ai rialzi. Cosa che però difficilmente avverrà, visti i recenti annunci del massimo istituto di credito europeo: la stretta monetaria proseguirà infatti per tutta la durata dell’anno corrente, e anche oltre se necessario, ossia fino a quando il tasso di inflazione non tornerà attorno alla quota del 2% (a giugno era ancora al 5,5%, una soglia raggiunta a seguito delle politiche “di manica larga” portate avanti nello scorso biennio per fronteggiare l’emergenza pandemica).
Inflazione alle stelle e salari non adeguati: ecco come l’Italia rischia una nuova recessione
Di questo passo, anche in Italia si potrebbe tornare molto presto a parlare di recessione. A rimpolpare i timori è anche l’andamento del nostro mercato domestico: sempre secondo l’Istat, nei primi 150 giorni del 2023, il volume delle vendite al dettaglio è sceso del 3,7%, con un picco di -5% per i prodotti alimentari. C’è chi sottolinea come, di riflesso, il valore delle vendite sia aumentato del 4,7% nello stesso periodo, ma la statistica non deve ingannare: il movimento maggiore di denaro è infatti dettato solamente dalla crescita esponenziale dell’inflazione, che sta gonfiando i prezzi di listino. Il dato che conta davvero evidenzia però come oggi in Italia stiano tutti comprando meno, dal grande imprenditore al piccolo risparmiatore.
L’ultimo numero che certifica la crisi dell’estate nella penisola è quello sul potere d’acquisto dei lavoratori, sceso del 7,3% rispetto a gennaio. Anche in questo caso, per spiegarlo occorre osservare l’andamento dei prezzi delle merci, che sono cresciuti più velocemente rispetto ai salari medi delle famiglie. Una congiuntura davvero critica che, come ha notato l’Ocse nel suo ultimo report, rischia di “gravare in maniera pesante per lo più sui nuclei a basso reddito“.