Durante la conferenza A un anno dal rapporto Draghi, l’ex presidente del Consiglio e autore del rapporto stesso, Mario Draghi, ha criticato duramente l’operato dell’Unione europea. L’ex governatore della Bce ha accusato le istituzioni di non essere in grado di agire con velocità e i governi dei Paesi membri di non aver capito la gravità del momento che l’Europa sta attraversando.
Draghi ha ribadito quanto scritto un anno fa nel suo rapporto, sottolineando la necessità di un debito comune per effettuare investimenti in settori altamente produttivi, che a livello nazionale i singoli Stati non sembrano in grado di eseguire. Ha anche parlato dell’automotive, come esempio di settore in cui le regolamentazioni Ue non hanno raggiunto gli obiettivi sperati.
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Draghi attacca l’Ue, lenta e compiaciuta
L’ex presidente del Consiglio, alla presenza della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ha spiegato cosa funzioni e cosa invece non sia ancora all’altezza, nel modo in cui l’Ue si rapporta con i cittadini:
I cittadini e le aziende europee apprezzano la diagnosi, le priorità chiare e i piani d’azione. Ma esprimono anche una crescente frustrazione. Sono delusi dalla lentezza dell’Ue. Ci vedono incapaci di tenere il passo con la velocità del cambiamento altrove. Sono pronti ad agire, ma temono che i governi non abbiano compreso la gravità del momento.
Draghi riconosce quindi la capacità di visione dell’Ue, che pone obiettivi precisi e delinea piani d’azione chiari, ma critica duramente la macchinosità e la lentezza del processo decisionale: “Troppo spesso si trovano scuse per questa lentezza e questo è compiacimento. Serve nuova velocità e risultati nel giro di mesi, non di anni” ha dichiarato l’ex governatore della Bce.
La prospettiva del debito comune
Durante il suo discorso, Draghi è anche tornato a parlare della possibilità che l’Ue emetta più titoli di debito, in modo da raccogliere grandi somme di denaro:
È necessario considerare un debito comune per progetti comuni, sia a livello Ue, sia tra una coalizione di Stati membri, per amplificare i benefici del coordinamento. L’emissione congiunta non amplierebbe magicamente lo spazio fiscale. Ma permetterebbe all’Europa di finanziare progetti più grandi in settori che aumentano la produttività dove la spesa nazionale non è più sufficiente.
Draghi ha quindi aperto anche alla possibilità che a emettere titoli non sia l’Ue come istituzione, ma anche coalizioni di Stati membri. Questo indebolirebbe il ruolo della Commissione, che non potrebbe indicare come spendere il denaro raccolto, ma eliminerebbe il problema dell’opposizione dei cosiddetti Stati frugali, come i Paesi nordici o i Paesi Bassi, che considerano inaccettabile la prospettiva di un debito comune europeo in virtù della loro situazione finanziaria, migliore di quella di Stati come Francia o Italia.

Gli investimenti e la maggiore rapidità sono necessari, secondo Draghi, per rispondere ai cambiamenti che arrivano dall’esterno, dai dazi statunitensi alla concorrenza cinese: “Il nostro modello di crescita sta svanendo” ha avvertito l’ex presidente del Consiglio durante il suo discorso.
Il fallimento del Green Deal sull’automotive
Per chiarire la sua posizione, Draghi ha utilizzato l’esempio delle regolamentazioni delle emissioni nel settore automobilistico.
In alcuni settori, come quello automobilistico, gli obiettivi posti dall’Ue si basano su presupposti che non sono più validi. La scadenza del 2035 per le emissioni zero allo scarico era stata concepita per innescare un circolo virtuoso: obiettivi chiari avrebbero spinto gli investimenti nelle infrastrutture di ricarica, fatto crescere il mercato interno, stimolato l’innovazione e reso i modelli elettrici più economici. Si prevedeva che batterie e microchip si sviluppassero parallelamente. Ma ciò non è avvenuto.
Draghi sottolinea come le aziende automobilistiche europee, impegnate nel resistere a una forte crisi del mercato, non abbiano investito nelle nuove tecnologie come l’Ue si sarebbe aspettata e si sono di fatto rifiutate di seguire le indicazioni della Commissione, continuando a chiedere modifiche dei vincoli di emissioni stabiliti.