Carne bandita nelle pubblicità: lo stop in Olanda

Utrecht è l'ultima città in Olanda ad approvare il divieto di fare pubblicità per la carne e i prodotti derivati: la misura potrebbe diventare nazionale

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Mirko Ledda

Editor e fact checker

Scrive sul web da 15 anni, come ghost writer e debunker di fake news. Si occupa di pop economy, tecnologia e mondo digitale, alimentazione e salute.

In un’iniziativa che riflette la crescente preoccupazione per la salute e l’ambiente, Utrecht è diventata l’ultima città olandese a bandire la pubblicità dei prodotti a base di carne dai propri spazi pubblicitari. La decisione segue un divieto simile adottato l’anno scorso dalla città di Bloemendaal e la discussione in corso in altre aree, tra cui Zwolle, Haarlem, Amsterdam e la provincia di Noord-Holland.

Perché è stato imposto il divieto alla carne nelle pubblicità

La motivazione fornita dall’amministrazione comunale è duplice. Da una parte c’è l’impatto negativo che l’eccessivo consumo di carne ha sulla salute dei cittadini, dall’altro la necessità di contrastare il cambiamento climatico.

Utrecht ha già dimostrato il suo impegno sociale adottando divieti simili sulla pubblicità dei combustibili fossili per auto in passato. La città ha deciso di estendere la sua visione ecologica includendo la carne tra i prodotti vietati.

È necessario sottolineare che la decisione del comune si applica solo ai cartelloni pubblicitari di proprietà delle autorità locale, circa 850 spazi in tutto il territorio cittadino. Questa iniziativa, che riprende quelle di altre città dei Paesi Bassi, potrebbe essere il precursore di una tendenza più ampia verso politiche più restrittive nei confronti di prodotti non sostenibili.

La lotta dei Paesi Bassi alle emissioni degli allevamenti di carne

L’ordinanza si inquadra infatti in un contesto più ampio di cambiamenti nelle politiche europee riguardo all’agricoltura. Il ministro olandese dell’Agricoltura, della Natura e della Qualità del cibo Piet Adema ha recentemente dichiarato che l’Unione Europea non dovrebbe fornire sussidi per la produzione di carne, ma dovrebbe piuttosto concentrarsi su prodotti salutari e che non danneggiano l’ambiente.

Amsterdam è impegnato da tempo nella riduzione delle emissioni di azoto causate dall’agricoltura animale e ha annunciato l’obiettivo ambizioso di dimezzare le emissioni complessive del Paese entro il 2030.

Nonostante l’iniziale scetticismo degli allevatori, in realtà, non si sono levate particolari proteste dall’industria della carne. I Paesi Bassi mirano alla conversione della filiera verso prodotti plant based o verso la carne coltivata, da noi chiamata “carne sintetica” e bandita proprio sulla spinta di associazioni di categoria come Coldiretti. Eppure si tratta di un business mondiale da 25 miliardi di dollari.

Le agenzie pubblicitarie invece hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla mancanza di uniformità nelle leggi, chiedendo un approccio nazionale per garantire una prospettiva più stabile per le strategie delle aziende ed evitare investimenti a vuoto.

Sempre meno carne in Olanda: è l’inizio di un’Europa vegana?

Mentre la Commissione Europea discute sull’allocazione futura dei sussidi all’agricoltura, la situazione olandese potrebbe anticipare un cambio di paradigma nel modo in cui la carne è promossa e consumata in tutta Europa.

La recente diminuzione delle vendite di prodotti a base di carne nei Paesi Bassi, insieme all’incremento del mercato plant based suggerisce che la coscienza ambientale e le preferenze dei consumatori stanno influenzando le abitudini alimentari in modo significativo. Resta da vedere se altri Paesi comunitari seguiranno l’esempio olandese, con la trasformazione dei divieti della carne in una tendenza dell’intero continente.

Il tempo per fermare il cambiamento climatico sta finendo e i numeri sull’utilizzo delle risorse e del suolo per gli allevamenti sono ormai noti a tutti. Una dieta vegana o che preveda meno prodotti di origine alimentare può rappresentare un punto di partenza per limitare l’impatto dell’uomo sul Pianeta, ma un cambio di abitudini prevede anche il supporto alla transizione di piccole e grandi realtà, per evitare la perdita di milioni di posti di lavoro.