Buoni pasto a rischio con l’emendamento di Fdi sulle aziende private, cosa cambierebbe

Il settore dei buoni pasto in Italia soffre già per pesanti disequilibri. Un emendamento di FdI sulle commissioni viene accusato di peggiorare la situazione

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 19 Novembre 2024 10:09

Un fulmine a ciel sereno scuote il mercato dei buoni pasto in Italia che, pur tra momenti di trasformazione e criticità, vale complessivamente 4 miliardi di euro all’anno: un emendamento al ddl Concorrenza a firma dei deputati di Fratelli d’Italia Silvio Giovine e Riccardo Zucconi propone di estendere al mercato privato le stesse regole applicate al settore pubblico, che vale 3 miliardi di euro.

L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre le commissioni per rendere sostenibile il sistema e preservare i buoni pasto come strumento di welfare. Ma la proposta potrebbe avere esiti inaspettati.

Il nodo delle commissioni

I due meloniani chiedono un tetto del 5% alle commissioni che i fornitori di ticket possono applicare a ristoranti, bar e supermercati. Le conseguenze paventate dalle opposizioni e da alcuni operatori del settore sono però quelle di un aumento dei costi per le imprese che forniscono i buoni ai loro dipendenti. Ma la questione è molto più spinosa dal momento che anche in mancanza di modifiche il sistema, così per come funziona oggi, rischia di implodere.

Prima la pandemia ha paralizzato per mesi interi settori produttivi e poi lo smart working ha alterato ulteriormente gli equilibri in un settore delicatissimo. Oggi, secondo le analisi, il 70% dei buoni pasto non viene più utilizzato per la pausa pranzo, ma per la spesa nei supermercati, a riprova del fatto che i voucher sono, di fatto, sempre più una forma di sostegno al reddito dei lavoratori.

Il nodo della questione riguarda le commissioni, che gli operatori del settore considerano ormai quasi insostenibili: prendendo l’esempio di un buono pasto da 10 euro, per il supermercato la commissione massima è pari a 0,50 euro se il ticket è emesso da un soggetto pubblico mentre può raggiungere i 2 euro se si tratta di un’azienda privata. Le associazioni della Grande distribuzione organizzata puntualizzano che l’Italia è ben lontana dagli standard europei, in cui le commissioni sui buoni pasto non superano mai la soglia del 5% del valore.

“La nostra posizione è chiara: non possiamo più farci carico di questi costi esagerati”, afferma Carlo Alberto Buttarelli, presidente di Federdistribuzione, come riporta La Repubblica. Buttarelli non esclude che i supermercati possano smettere di accettare i buoni pasto o ridurre le convenzioni ai ticket più convenienti.

Nuove regole per il settore

Da una parte, ridurre le commissioni potrebbe tradursi in un vantaggio per i consumatori, ma dall’altra parte una regolamentazione eccessiva porterebbe a un aumento dei costi per le aziende, che potrebbero reagire scaricando le maggiorazioni sul prezzo delle merci o in altri modi. Al di là della proposta dei deputati meloniani, tutte le parti concordano sulla necessità di regolamentare meglio il settore.

I numeri dei buoni pasto in Italia

Nel 2023 il valore medio dei buoni pasto erogati ai lavoratori in Italia si è assestato su una media di 6,75 euro, come risulta da un’analisi di ltis-Università Cattolica per Anseb. Il profilo del percettore tipo dei buoni pasto in Italia è quello di un lavoratore del settore privato, specie nell’industria. Il 61% dei fruitori di buono pasto sono uomini e il 75% è over 35. Il 46% è in possesso di un diploma e nel 53% dei casi lavora nelle Regioni del Nord Italia.

Restando in argomento, la Cassazione con la recente ordinanza 25840/2024 ha sancito che i buoni pasto spettano anche ai lavoratori in ferie.