Autonomia differenziata, cosa sono i Lep e cosa cambia per le Regioni

L'approvazione della legge porta così all'istituzione dei Lep e alla creazione di una cabina di regia

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Dopo una lunga maratona notturna, la Camera ha dato il via libera definitivo al disegno di legge sull’Autonomia differenziata. L’aula di Montecitorio ha approvato il provvedimento rendendolo così legge. Il sì al contestato ddl, che secondo l’opposizione potrebbe ampliare il divario tra Nord e Sud, segue l’approvazione, avvenuta ieri pomeriggio al Senato, in prima lettura del ddl costituzionale che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Vediamo cosa significa autonomia differenziata e quali conseguenze può innescare.

Via libera all’autonomia differenziata. Zaia: nessuna minaccia a unità

L’aula di Montecitorio ha approvato il provvedimento con 172 voti favorevoli, 99 contrari e 1 astenuto, rendendolo così legge. Molto soddisfatto soprattutto il governatore del Veneto, Luca Zaia, che in una intervista al Corriere della Sera si è definito “un inguaribile ottimista” rispetto all’approvazione della legge.

“Mi spiace solo che questa riforma così importante sia bollata come una minaccia all’unità nazionale. Mi pare anche un atteggiamento irrispettoso nei confronti del capo dello Stato (Sergio Mattarella, ndr), che è il garante della Costituzione e ha firmato la legge”. E ancora: “Su questa riforma ci sono dei pregiudizi che dovremo superare. Dovremo parlare al popolo del Sud che viene quotidianamente bersagliato da informazioni negative” dice.

Appena arrivato l’annuncio del via libera, la prima a festeggiare è stata proprio la Lega, come ovvio. “L’autonomia è legge! Oggi si è fatta la storia di questo Paese! È l’alba di un giorno storico”, esulta sui social Zaia. Che ha ringraziato la premier Giorgia Meloni, il leader della Lega Matteo Salvini, il ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli e tutti coloro che, al governo e al Parlamento, hanno lavorato per portare avanti il disegno di legge. “Ora si pone una pietra miliare, all’insegna di un percorso di modernità, responsabilità ed efficienza. L’Italia, con gradualità e rispetto, andrà verso un modello gestionale già assunto in maniera vincente da molti grandi paesi europei e a livello internazionale”.

Ma in cosa consiste l’autonomia differenziata? Cosa cambia? Perché è sempre stato uno dei cavalli di battaglia della Lega?

Cosa contiene la legge sull’autonomia differenziata

Chiamata anche legge Calderoli, l‘autonomia differenziata è uno dei più storici cavalli di battaglia della Lega e propone una significativa redistribuzione dei poteri e delle risorse pubbliche in vari ambiti. Questo progetto di legge sull’autonomia differenziata riguarda ben 20 settori di legislazione concorrente, ossia aree di competenza condivisa tra il governo centrale e le Regioni.

L’autonomia differenziata rappresenta il riconoscimento, da parte dello Stato, della possibilità per una regione a statuto ordinario di esercitare autonomia legislativa su materie di competenza concorrente e, in alcuni casi, su materie di competenza esclusiva dello Stato. Oltre a queste competenze, le regioni possono trattenere il gettito fiscale, che non verrebbe più redistribuito a livello nazionale in base alle necessità collettive.

Le materie di legislazione concorrente comprendono:

  • rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni
  • commercio con l’estero
  • tutela e sicurezza del lavoro
  • istruzione
  • ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi
  • tutela della salute
  • alimentazione
  • ordinamento sportivo
  • protezione civile
  • governo del territorio
  • porti e aeroporti civili
  • grandi reti di trasporto e di navigazione
  • ordinamento della comunicazione
  • produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia
  • previdenza complementare e integrativa
  • coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
  • valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali
  • casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale
  • enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

La concessione di “forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni a statuto ordinario è prevista dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, il quale specifica che tali attribuzioni possono essere concesse “con legge dello Stato su iniziativa della regione interessata”. Tuttavia, questo comma non è mai stato attuato a causa delle notevoli differenze economiche e sociali tra le regioni, che rendono particolarmente delicata e potenzialmente dannosa l’approvazione di leggi in questo senso. A gennaio c’era stata l’approvazione al Senato, mentre questa mattina è arrivata quella alla Camera.

Cosa sono i Lep

Uno dei punti più contestati della proposta riguarda il finanziamento dei livelli essenziali di prestazione (Lep). Questi rappresentano gli standard minimi di servizio necessari per garantire l’attuazione dei “diritti sociali e civili” tutelati dalla Costituzione italiana. Questi livelli sono fondamentali per assicurare un trattamento uniforme su tutto il territorio nazionale.

La legge quadro prevede che i Lep siano preventivamente individuati per diverse aree, tra cui istruzione, ambiente, sicurezza sul lavoro, ricerca scientifica e tecnologica, salute, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione, comunicazione, energia e beni culturali. Tuttavia, ci sono ancora molti settori in cui i Lep non sono stati definiti, inclusi i servizi sociali e il trasporto locale.

Secondo il disegno di legge, che concede al governo un anno di tempo per decidere i Lep, le regioni potranno formulare un’intesa anche senza il decreto del presidente del Consiglio che dovrebbe stabilire l’entità dei Lep. In tal caso, i finanziamenti verrebbero distribuiti in base alla spesa storica della regione nell’ambito specifico in cui richiede l’autonomia.

Questo è il punto centrale delle contestazioni, giustificando il termine “secessione dei ricchi”, perché garantirebbe maggiori finanziamenti alle regioni del Nord, che dispongono di più risorse e hanno una spesa storica più alta, e minori finanziamenti a quelle del Sud, che dispongono di meno risorse e hanno una spesa storica più bassa. In questo modo, le disuguaglianze tra le due aree del paese si accentuerebbero ulteriormente.

Questo potrebbe comportare il rischio che le Regioni più ricche, soprattutto quelle del Nord, possano gestire autonomamente vari settori e sfruttare la propria situazione economica per offrire servizi migliori. Al contrario, le Regioni più in difficoltà, soprattutto quelle del Sud, si troverebbero senza gli strumenti necessari per raggiungere lo stesso livello. Da ciò potrebbe nascere un circolo vizioso, accentuando ulteriormente le disuguaglianze tra le diverse aree del Paese.

L’istituzione della cabina di regia

È stata prevista allo scopo una Cabina di regia, nominata da una Commissione specifica per la definizione dei Lep, che opera sulla base dell’istruttoria condotta dal Comitato guidato dal giurista Sabino Cassese. Lo scorso marzo, il Governo ha istituito il Clep (Comitato per i Livelli Essenziali di Prestazione), incaricato di determinare i costi e i fabbisogni concreti di ciascuno dei servizi pubblici, in supporto alla cabina di regia governativa per le Autonomie regionali differenziate.

La Cabina di regia avrà il compito di condurre una ricognizione del quadro normativo nazionale e regionale, e di individuare le materie o gli ambiti di materie riferibili ai Lep che riguardano i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale. Successivamente, saranno determinati i livelli essenziali delle prestazioni e saranno definiti i costi e i fabbisogni standard nelle materie previste dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, che la riforma sull’autonomia differenziata intende modificare.

Al termine di questo iter, entro un anno, la Cabina di regia preparerà uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) attraverso i quali saranno determinati i Livelli Essenziali delle Prestazioni.

Infine, entro aprile 2026, il Governo dovrà aver definito il quadro normativo di riferimento per procedere all’individuazione dei trasferimenti di competenze e risorse dallo Stato alle regioni a statuto ordinario. La Cabina di regia avrebbe dovuto concludere i suoi lavori entro la fine del 2023, ma è stata prorogata di un altro anno dal provvedimento del Milleproroghe. Il disegno di legge Calderoli prevede una delega al Governo per definire i Livelli Essenziali delle Prestazioni attraverso decreti legislativi entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge.

Da chi è composta la cabina di regia

Il Clep è composto da 61 esperti, noti come “saggi”, provenienti dall’accademia italiana e è presieduto dal giurista Sabino Cassese. Tra i membri del Clep figurano personalità di spicco come Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, Paola Severino, presidente della Scuola nazionale dell’amministrazione, Guido Trombetti, professore emerito di analisi matematica, Giovanni Guzzetta, professore ordinario di diritto pubblico, Pier Luigi Portaluri, professore ordinario di diritto amministrativo, Lorenza Violini, professore ordinario di diritto costituzionale, e Valerio Di Porto, consigliere per l’autonomia differenziata e il Pnrr del ministro per gli affari regionali.

In passato, il Clep includeva anche figure di alto profilo come gli ex presidenti della Corte Costituzionale Giuliano Amato e Franco Gallo, l’ex presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e l’ex ministro della Funzione Pubblica Franco Bassanini, ma questi si sono dimessi lo scorso luglio.

I tempi

Il Governo, entro 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl, dovrà emanare uno o più decreti legislativi per determinare i livelli e gli importi dei Lep. Una volta avviato il processo, Stato e Regioni avranno 5 mesi di tempo per raggiungere un accordo. Le intese potranno avere una durata massima di 10 anni e potranno essere rinnovate. In alternativa, potranno terminare anticipatamente con un preavviso di almeno 12 mesi.